Fatture false, denunciati due bolzanini

Nell’inchiesta della Finanza sono finiti anche due imprenditori locali. Contestata un’evasione complessiva di 60 milioni


di Alan Conti


BOLZANO. Nella rete di una complessa operazione anti evasione della guardia di finanza di Livorno sono finiti anche due bolzanini. Patrick Chiodo e Niki Kowalski. Secondo l’accusa sarebbero elementi centrali di un meccanismo fraudolento con triangolazioni in tutta Italia finalizzato ad eludere il pagamento dell’Iva per vendere materiale informatico e tecnologico a prezzi più bassi dei concorrenti sul mercato.

L’operazione è stata chiamata “Rambo” ed è stata diretta dal comando provinciale di Livorno delle Fiamme Gialle coordinato da Claudio Scarselletta. Attraverso fatturazioni false, omesse dichiarazioni e occultamenti di documentazione un’associazione formata da otto persone è riuscita ad evadere 60 milioni di euro. Le perquisizioni tra abitazioni e sedi delle aziende (anche a Bolzano) sono state 15. La guardia di finanza ha arrestato 2 imprenditori ed imposto l’obbligo di firma ad altri 2 indagati, tutti livornesi. Sequestrati beni per 4,6 milioni di euro di proprietà di 6 imprese (2 ditte individuali e 4 società).

Come entrano, però, i due bolzanini (denunciati per associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale) in questa operazione? Rappresenterebbero la parte finale dell’evasione. Il meccanismo, infatti, è quello che tecnicamente viene definito “carosello fiscale”. Gli otto protagonisti avrebbero costituito una società fittizia gestita a Livorno da Maurizio Bianchi (presidente della squadra Labronica Basket) utilizzata solo per frodare il fisco. Da questa “scatola vuota” (senza alcun interesse a fare utili) veniva ordinato il materiale informatico e tecnologico da Francia e Germania. Grazie ad accordi internazionali questo avviene senza alcun ricarico d’imposta. A quel punto, però, un normale grossista rivende ai commercianti la merce applicando il suo guadagno e, appunto, l’Iva. Uno scambio in cui l’Iva viene comunque «neutralizzata» perché il grossista la addebita al commerciante che, a sua volta, la può scaricare. Si paga solo il guadagno del grossista che, in questo caso, è la società fittizia senza alcun interesse all’utile. Il ricarico, quindi, è minimo (a volte un euro). Chiodo e Kowalski, quindi, potevano vendere i prodotti quasi a prezzo di costo aggiungendo solo il proprio guadagno e l’Iva al 22% a carico del cliente finale. Uno stratagemma usato in particolare nell’e-commerce. Chiodo è il titolare della ditta Newpixel 24 (ex Lina 24) con sede in via Innsbruck.

I prodotti ordinati dalla società fittizia, inoltre, non transitavano mai materialmente per la sede di Livorno ma arrivavano direttamente nella disponibilità di Chiodo e Kowalski. La società, di fatto, aveva solo la funzione di passacarte e per questo viene definita “cartiera”. Questo, però, rende fasulle tutte le sue fatture (non esiste attività commerciale) e i beneficiari di questa irregolarità sarebbero proprio i bolzanini assieme ad un’imprenditrice avellinese. La “cartiera”, quindi, si accollava un debito Iva che poi non versava all’Erario. Il commercialista che seguiva l’operazione, con studio a Pontedera, evitava di figurare come evasore totale presentando al Fisco delle dichiarazioni della società fittizia che erano, tuttavia, prive di indicazioni dei redditi maturati negli scambi e del volume d’affari.

Tutto questo, quindi, avrebbe permesso ai due bolzanini di presentarsi sul mercato in una posizione agevolata ma irregolare. I prezzi bassi erano possibili solo attraverso il risparmio sull’Iva e per l’inesistente guadagno degli intermediari. I prodotti erano computer, macchine fotografiche, cellulari e telecamere.

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