ospite in redazione

Fiammetta Borsellino: «Mio padre diceva che la cultura batte la mafia» 

Per la prima volta a Bolzano, la figlia racconta del giudice assassinato da Cosa nostra. «Fin dal giorno dopo la strage sentii che era una ferita collettiva. I semi della pace e della legalità vanno coltivati con cura»



BOLZANO. «Quando si investe in centri commerciali anziché in teatri, cultura e scuole, indirettamente si sta tendendo la mano alle organizzazioni criminali, ad altri sistemi economici che creano bisogni da soddisfare a tutti i costi. Come diceva mio padre, la prima arma è l’istruzione, la scuola, la cultura». Il padre era Paolo Borsellino, assassinato da Cosa nostra il 19 luglio 1992. Le parole sono quelle di sua figlia, Fiammetta Borsellino, nei giorni scorsi per la prima volta a Bolzano per portare l’eredità del magistrato ucciso nella strage di via D’Amelio agli studenti e alla cittadinanza in due diversi appuntamenti al Teatro Cristallo. Un evento del percorso «Educare alla giustizia», organizzato con la sezione regionale dell’Associazione nazionale magistrati, presieduta da Giuseppe Spadaro. Dopo la visita al carcere di via Dante, Fiammetta Borsellino ha incontrato la redazione dell’Alto Adige.

Sono più di 1.600 le vittime innocenti accertate in Italia, ricordate oggi con la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Fiammetta Borsellino lo dice subito: alle grandi manifestazioni preferisce le situazioni più raccolte. Non sente il bisogno di fondare associazioni o fondazioni. Non crede all’«apparizione» del personaggio-simbolo, bensì all’incontro e alla partecipazione. Dello scambio di poche ore prima con gli studenti bolzanini e trentini racconta la curiosità di ragazze e ragazzi: «Arrivano preparatissimi, sanno tutto, eppure credo che se fossi rimasta lì le domande sarebbero proseguite a oltranza. I ragazzi sono molto interessati agli aspetti familiari, umani – noi figli in fondo eravamo ragazzi come tutti gli altri». E ancora, «Tutte le volte che mi confronto con le scuole respiro quel clima di autenticità, di sincerità, l’assenza di doppi fini che ahimè non trovo in altri ambienti».

Fiammetta Borsellino porta nelle scuole e nei teatri un’eredità importante. «I semi della pace, della legalità e del lavoro vanno coltivati continuamente», prosegue, «Non appena si abbassa la guardia, le organizzazioni si trasformano, si adeguano a nuovi contesti. Oggi qui dalle vostre parti stanno trovando terreni e alleanze, modi per ripulire il denaro prodotto illecitamente. E purtroppo ci scontriamo con una politica che tende la mano».

Quando accadono fatti così gravi, le ferite personali sono immediatamente ferite collettive. Fiammetta Borsellino vive questa dimensione fin dal 20 luglio 1992: «A volte ricevo una tale carica di sofferenza e di dolore, come se fosse morto un padre, un fratello». Anzi, la dimensione collettiva c’è sempre stata. Senza risparmiare risvolti agghiaccianti: «Casa nostra era un porto di mare. Penso che pure gli assassini di mio padre siano passati di lì».

Chissà che idea si è fatta del carcere di via Dante, sovraffollato e fatiscente. «Non voglio fare paragoni – premette – perché si sa che in Italia ci sono carceri di serie A e carceri di serie B. Per me lo standard dovrebbe essere la funzione rieducativa, di reinserimento, di promozione del cambiamento. Ma non è così e si preferisce parlare del 41bis anziché della riforma generale delle carceri». Nella sua visita ha incontrato detenuti impegnati in percorsi di giustizia riparativa, il direttore, il personale, il magistrato di sorveglianza, un’operatrice sanitaria. «Una bella squadra. Tant’è che pure in un carcere così mal combinato come quello di Bolzano pare riescano a fare cose importanti». S.M.













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