L'INTERVISTA

Flavio Zanella: «Nessun ricambio così è finito Nuovo Spazio» 

La vita sociale. Chiusa l’associazione che ha segnato un’epoca Conferenze, escursioni, serate teatrali dai tempi di Nicolò Rasmo «Il Covid è stato lo spartiacque. Molti soci dopo non sono più tornati»


PAOLO CAMPOSTRINI


BOLZANO. «L’ aveva scoperto lui, quel primo canederlo ritratto nella storia altoatesina. Ce lo ha descritto e poi ci ha portato tutti insieme a vederlo, a Castel d’Appiano». Lui era Nicolò Rasmo. Indimenticato direttore del Museo civico. Oggi c’è anche una via a Bolzano che porta il suo nome. I «tutti» erano le decine e decine di soci di Nuovo Spazio. Succedeva questo, alla fine degli anni Settanta. Quando una comunità riusciva ad esprimere una rete di associazioni capace di tenere insieme cose e persone. E, nel mentre, a costruire anche una identità. 

«Mai in contrapposizione alle altre», diceva sempre Mario Paolucci, «il professor Paolucci», storico presidente della Nuovo Spazio. Da quella visita alla Knödelesserin, la mangiatrice di canederli che in mezzo alla rappresentazione della nascita di Cristo estrae dal paiolo uno degli elementi fondanti della cucina sudtirolese, sono passati anni. Ma pieni. Ecco, quegli anni sono finiti. Nuovo Spazio chiude, come annunciato sul giornale di ieri. 

«Non c'è ricambio», spiega Flavio Zanella. In associazione da 15 anni. Con altrettanti se non più nel Cai. «Ero il factotum della associazione», dice, «dalle luci alla presentazione delle serate». E pure una persona che riassume in sé lo spirito di una comunità, quella italiana di Bolzano, che ha saputo mettere insieme montagna e interessi teatrali, cultura diffusa e amore per il territorio. Anche Nicolò Rasmo l’ha presieduta, Nuovo Spazio. Segno che si trattava di un gruppo di intellettuali capaci di fare trasmigrare la cultura dai luoghi istituzionali a quelli divulgativi. Mettendo insieme a tutto questo anche una grande forza aggregativa. Ed è in fondo questo il senso dell'associazionismo. Tanto che, quando un associazione muore, c’è come la percezione di un regresso complessivo di una comunità. 

Certo, ci sono questioni anagrafiche. E pure finanziarie. Ma è un fatto che la città ne esca impoverita. Anche perché ad un gruppo che cede le armi non ne corrisponde un altro che raccolga il testimone. 

La crisi delle associazioni rischia di diventare crisi identitaria, vista la sempre maggiore difficoltà che hanno pure quelle che sopravvivono nel raccogliere adesioni, nel rinnovare i quadri e riempire anche solo i direttivi.

Zanella, e allora Nuovo Spazio?

Non si poteva più andare avanti.

La ragione?

La difficoltà a trovare un ricambio generale.

Partita da dove?

Il Covid è stato lo spartiacque. C'è un prima e un dopo. Alla parrocchia Tre Santi, dove ci si incontrava negli ultimi tempi per le nostre serate, c’è una sala da 90 persone.

E voi quanti eravate?

Almeno un centinaio. Per cui in tante occasioni la gente se ne stava in piedi durante gli incontri. Poi, con i protocolli pandemici non si poteva stare con più di 30 in presenza. Che facevamo, la selezione?

E allora?

Niente. Molti hanno rinunciato. E così, mese dopo mese, ci siamo trovati due anni dopo a raccogliere i cocci.

Ma non eravate sostenuti da un qualche contributo pubblico?

Mai. È sempre stato il nostro orgoglio. E' stato il professor Paolucci per primo a indicarci la strada dell'indipendenza assoluta. Non abbiamo mai chiesto soldi a nessuno.

Come si manteneva Nuovo Spazio?

Con i soci. E di conseguenza con le iscrizioni. Ognuno pagava la sua quota e questo ci bastava.

La ragione per cui nacque l'associazione?

Diffondere l’interesse per le cose belle. All'inizio è stato un gruppo di intellettuali bolzanini. Poi sono arrivati tutti gli altri. Anche gente semplice. Ma appassionata.

Accomunati da cosa?

Stare insieme e arricchirci. Prima con la conferenze. La particolarità era che a queste seguivano poi le gite per verificare sul campo quello che avevamo appreso nelle serate. I piccoli viaggi con il professor Rasmo sono stati indimenticabili.

Castel d’Appiano...

Appunto. Ma poi tanto altro. Infine si è iniziato con il teatro. Mario Paolucci contattava le compagnie e le faceva arrivare qui. Prima al Concordia. Poi quando venne giù, al Rainerum.

Cosa vedevate?

Grande qualità. Arrivavano gli attori da tutta Italia. Era un po’ un controcanto alla stagione dello Stabile. Per anni, il nostro cartellone è stato un punto di riferimento non solo per i nostri associati.

E le conferenze?

Non so quante. Si ascoltava don Renner o Giacomo Fornari, il direttore del Conservatorio. E tanti scrittori. E poi giornalisti, come Alberto Faustini, direttore dell’Alto Adige.

Discutevate sull'eventualità di chiedere e ottenere un qualche aiuto comunale o provinciale?

Non ci siamo mai messi a cercarli. Leggevamo delle polemiche suscitate da altre associazioni che pretendevano fondi per le loro stagioni o di teatro o di film. Noi no. Abbiamo sempre cercato di mantenerci svicolati da qualsiasi dipendenza. E ci siamo sempre sentiti liberi di fare le nostre scelte.

L'ultimo numero di tesserati?

Almeno 120. Tanti no?

Ora c'è amarezza?

Più nostalgia. E poi con la riforma del terzo settore, una associazione come la nostra avrebbe avuto bisogno anche di assumere impiegati per riuscire a reggere le incombenze fiscali e soprattutto burocratiche. E non saremmo stati più noi. 

E adesso?

Ci riposiamo. Pensi che la più giovane iscritta è mia moglie che ha 75 anni. E io sto felice con i miei ottanta...













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