Fornari: «Università della musica, non più Conservatorio» 

Il direttore del Monteverdi favorevole alla svolta “storica” Gli spartiti dentro la Lub: saremo progetto pilota per l’Italia


di Paolo Campostrini


BOLZANO. «So che non sarà facile. I Conservatori sono nati in Italia, a Venezia. È dal ’600 che costituiscono un nostro vanto. Ma adesso - dice Giacomo Fornari - si dovrà decidere, lo chiede la legge: o ci consociamo per trasformarci in Politecnici delle arti oppure diventiamo Università. Cioè facoltà di musica».

E lei direttore, che farà?

«Già la vedo : “facoltà di musica Bolzano”. Una buona prospettiva». Fornari è da pochi giorni che dirige il Monteverdi. Dal 1 di novembre. Ma già programma: «Questa settimana vorrei incontrare Paolo Lugli, il rettore. E vedere insieme cosa si può fare". Perchè l’idea di Lugli, dopo quella di Storia o di Scienze culturali, è di portare dentro la Lub anche musica. Consentendo così un trasloco “morbido” di competenze, esperienze e professionalità, compiuto in poche decine di metri, quelli che separano il rettorato da Piazza Domenicani.

Perchè l'Università, direttore?

«Saremo un progetto pilota per l’Italia. Possiamo provare a gestire questo momento di transizione guardando anche ad altre esperienze. La legge del ’99 ci chiede alcuni passaggi. Si tratta di gestirli con delicatezza. Ma anche di avere chiaro l’obiettivo».

E quale sarebbe?

«In Italia abbiamo una scuola molto professionalizzante, cioè i Conservatori. Formiamo musicisti. E lo facciamo prima dei 18 anni e in modo aperto. Questa è la nostra antica tradizione, lunga quattro secoli. Poi c’è quella austro-tedesca che, dall’800 prevede gli atenei musicali. Bene: possiamo trovare una strada intermedia proprio qui, da noi. Portarci dietro la tradizione conservatoriale e diventare università».

Una rivoluzione?

«Sì, una rivoluzione copernicana. E capisco anche resistenze, dubbi, incertezze da parte di molti soggetti coinvolti in questo cambiamento. C'è alle spalle un percorso formativo che ha prodotto grandi risultati. Ma adesso abbiamo la possibilità di tenere fermi i successi fin qui ottenuti e iniziare a pensare alla formazione musicale in modo più composito».

A cosa si riferisce?

«Una facoltà di musica non si troverebbe a formare solo musicisti ma anche operatori musicali, insegnanti, esperti di musicologia, di storia degli strumenti musicali. Un luogo del sapere in cui la musica è il collante e offre vari percorsi e sbocchi professionali».

Come funziona là dove hanno già un'esperienza di questo tipo?

«Direi bene. In Italia e Francia abbiamo avuto storie diverse ma adesso noi possiamo basarci su quello che già altri hanno fatto e migliorarlo. Senza perdere le nostre prerogative».

Per arrivare dove?

«Ad applicare con le dovute cautele il sistema delle Musik Universitaet, coniugandolo con la grande capacità di professionalizzazione del Conservatorio».

Cosa dirà al rettore Lugli appena lo vedrà?

«Di studiare insieme un possibile percorso».

Di convergenza?

«Esattamente. Quali iniziative prendere e che schema darci».

Lei quale immagina?

«Per prima cosa il personale e tutto l'apparato. Come cioè travasare il Conservatorio nell’amministrazione universitaria. Questo farebbe nascere delle buone opportunità in termini di possibili sinergie o risparmi. Ma anche, e questo conta molto di più, ci doterebbe di ulteriori risorse da gestire e mettere in circolo».

Ma la nuova facoltà sarebbe poi tutta da inventare...

«E tuttavia sarebbe una bella sfida perché ci aprirebbe nuove porte. Anche in termini di attrattività complessiva. La facoltà di musica sarebbe quindi in grado di prevedere tutta una serie di nuovi percorsi formativi. Rilascerebbe bacchelorati, master , dottorati di ricerca. Si tratterebbe di uscire da una parte di tradizione, anche amministrativa e di gestione, per entrare in un mondo che ci metterebbe in comunicazione con altri studi specialistici».

Sì alla nuova facoltà, dunque?

«Assolutamente».

È stato molto chiaro...

«Beh, sono uno studioso di Mozart».

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