Gli architetti sui nuovi rifugi: «I conservatori sbagliano»

Azzolini e Calderan: usano la difesa della natura come alibi, giusto cambiare


di Francesca Gonzato


BOLZANO. Gli architetti alzano la testa e si buttano nella discussione sui progetti di ricostruzione di tre rifugi alpini commissionati dalla Provincia. È stato toccato evidentemente un nervo importante e quei rendering hanno scatenato un dibattito Capuleti-Montecchi tra entusiasti e avversari della architettura contemporanea in quota.

«Va bene, allora discutiamo e confrontiamo le tesi. Evidentemente è necessario», premettono gli architetti Carlo Azzolini, presidente della Fondazione architettura Alto Adige, e Carlo Calderan, direttore della rivista Turrisbabel.

Offrono e chiedono argomenti, «non una polemica all’insegna del “mi piace”», come del resto ha sottolineato l’assessore Florian Musser, annunciando che la Provincia «andrà avanti con gioia nella realizzazione dei tre progetti».

Ci saranno due occasioni per ragionare di montagna e architettura.

A settembre uscirà il nuovo numero di Turrisbabel, dedicato al concorso di idee sui rifugi: verranno presentati tutti i 30 progetti partecipanti. Questi i vincitori: rifugio Ponte di Ghiaccio (architetti Matteo Scagnol e Sandy Attia), Vittorio Veneto al Sasso nero (architetti Helmut Stifter e Angelika Bachmann) e Pio XI (Thomas Höller e Georg Klotzner).

Il 26 ottobre il festival «International Mountain Summit» ospiterà a Bressanone il convegno «Architettura e montagna», con partner la Fondazione architettura di Bolzano e la Camera degli architetti di Bolzano, Trento, Belluno, Sondrio, Aosta, Tirolo, Baviera, Ordine degli ingegneri di Bolzano e Baviera. Gli esperti invitati offriranno un confronto su «Costruire in montagna - dove sono i limiti?» e «Lusso versus comfort».

Gli architetti non nascondono di essere rimasti stupiti di fronte alla raccolta di firme, ai gruppi facebook, agli argomenti utilizzati dagli avversari, politici o alpinisti. Eppure l’Alto Adige da un ventennio, grazie agli influssi svizzeri e austriaci ( Vorarlberg ), è una area capofila dell’architettura contemporanea, tanto pubblica che privata. Studenti, vigili del fuoco, impiegati provinciali, soccorritori della Croce bianca vivono in luoghi premiati ai concorsi di architettura. Perché i rifugi alpini no? Gli oppositori chiedono di ristrutturare le tre strutture o di ricostruirle «nel rispetto della tradizione».

La parola agli architetti, che non risparmiano le punture di spillo, «su una natura che è viene difesa solo quando è lontana, mentre del fondovalle compromesso non ci si preoccupa».

La distanza. «C’è troppo distacco tra le posizioni», esordisce Carlo Azzolini, «è il segnale che ci sono troppe cose non chiarite. Dalla polemica esce un rifiuto radicale dell’architettura contemporanea in montagna. Come se in questi 150 anni non fosse accaduto nulla. L’attrezzatura di montagna è cambiata radicalmente, la Salewa ha voluto che il proprio quartier generale fosse un esempio di architettura avanzata, ma ad alta quota gli architetti devono essere sotto scacco e si chiedono pietre e travi. La Provincia ha impiegato decenni per tornare in possesso di 24 rifugi. Non credo che lo abbia fatto per distruggerli e per annullare una tradizione. In tre casi serve una ricostruzione e la Provincia ha detto “vediamo cosa significa un rifugio oggi”. L’impegno che ci hanno messo gli architetti è studiare una struttura fruibile oggi, perché questo è il nostro ruolo: interpretare il bene comune. Ma parliamo della montagna e della natura. In un luogo estremo, ogni intervento è forte. Nel caso dei rifugi poi, la loro caratteristica è sempre stata di essere visibili, non appartati, perché questa è una esigenza degli alpinisti». Agli argomenti della tradizione, Azzolini replica ancora: «Costruire oggi in montagna significa ricorrere a materiali più sicuri , offrire alla montagna rifugi autosufficienti energeticamente, senza necessità di fognatura. I progetti possono essere discussi, ovvio, ma valutando tutte le aspirazioni che vi sono dietro. Siamo dunque pronti a spiegare perché certe forme, perché certi materiali. Ma, appunto, questi sono gli argomenti perché la discussione sia razionale».

I valori. Sì la scuola e la stazione dei vigili del fuoco, no il rifugio con le forme dell’architettura contemporanea. Perché? «La montagna viene vista come serbatoio sacro della natura», è la lettura di Carlo Calderan , «È una impostazione che non condivido. Una cima non è più natura del fondovalle e trovo che questo argomento sia un alibi. È facile difendere la natura a 2500 metri: tutto si risolve nella polemica verso tre rifugi nuovi. A fondovalle invece è tutto ammesso e non vedo gruppi facebook di protesta contro certi scempi. Allora vediamo che stiamo parlando di cultura e non di tecnica e che ci viene detto che lì possiamo costruire solo “in un certo modo”, che fatalità è “come una volta”. Ma una volta come? Perché la tradizione andrebbe conosciuta, prima di brandirla contro il nuovo. Scopriremmo allora che i rifugi sono sempre stati oggetto di sperimentazione tecnologica. Gli Ufo non sono i nostri progetti, sono i rifugi costruiti nell’Ottocento, quando si studiarono le soluzioni migliori per realizzare edifici capaci di sopportare quattro metri di neve sopra il tetto a 20 gradi sotto zero e ne uscirono costruzioni incredibili. E vennero commessi anche errori. Turrisbabel presenterà i nostri sopralluoghi ai tre rifugi attuali, perché li abbiamo voluti documentare nelle effettive condizioni ». Ancora Calderan. «Trovo poi del tutto ingenerosa questa polemica secondo cui noi siamo i cattivi, mentre i buoni difendono i vecchi cari rifugi. Non meritiamo questa sfiducia. Siamo la generazione di architetti più attenta al rispetto del paesaggio, un tema che un collega dell’Ottocento nemmeno si sarebbe posto».

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