Gregotti, lascito creativo anche in regione

Bolzano. Se ne è andato a 92 anni per polmonite da Coronavirus. Vittorio Gregotti è passato anche da Bolzano. Non ha costruito ma ha insegnato a costruire. «Sono tanti i nostri “gregottiani”. Quelli...



Bolzano. Se ne è andato a 92 anni per polmonite da Coronavirus. Vittorio Gregotti è passato anche da Bolzano. Non ha costruito ma ha insegnato a costruire. «Sono tanti i nostri “gregottiani”. Quelli che lo hanno ascoltato, hanno fatto esami a Venezia con lui». Anche Carlo Calderan. La sua tesi con Gregotti si intitolava “Nuovi paesaggi veneti, la città diffusa”. Era, da allievo, un percorso che provava a mettere in comunicazione due “arti” fino ad allora, negli anni Settanta, ancora separate: il costruire e il pianificare. Osservare il mondo dall'alto e dal basso. Guardarlo dentro le mura ma anche in estensione. Nel passato un’amicizia con l’architetto Roland Veneri. Poi, dopo, oltre a Calderan, tanti i gregottiani di qui. Da Angonese, autore della casa Dalle Nogare sulle pendici del Guncina, a Scherer. E anche Alberto Winterle. Che dice: «La sua lezione? Un’architettura che non si metta solo a costruire edifici ma che apra lo sguardo sul paesaggio». Urbanistica e architettura, ecco come Gregotti ha mosso le acque. Iniziando dall’insegnamento. «Non voleva che si facesse come lui, che si riproducessero i suoi progetti. Non allevava cloni - aggiunge Calderan - ma architetti capaci di pensiero indipendente». Mezzo Alto Adige che costruisce ha letto Gregotti su “Casabella” di cui è stato anima per anni. Una rivista che ha condotto il Paese verso la modernità, ne ha interpretato le inquietudini, ha aperto palestre di discussioni vive e vitali ancor’oggi, che non ha creato una scuola ma che ha costruito scuole di pensiero aperto. È passato per Bolzano con i suoi tanti allievi, Gregotti, ma stava anche per costruirci qualcosa. E di importante. È successo nel corso del lungo percorso che ha portato al quasi avvio del grande progetto dell’Areale. Lo studio «Vittorio Gregotti-Gregotti associati» giunse ad un passo dalla designazione della giuria di allora, presieduta dall'architetto Wofgang Piller. Inviarono a Bolzano il loro progetto per la riqualificazione del lotto urbano e della nuova stazione, studi di grande prestigio. Come Liebeskind o Hadid. Alla fine vinse l’idea di Boris Podrecca e su quella si avviò l’ultima fase del percorso. Gregotti pensò a Bolzano perché qui stava avvenendo qualcosa di molto legato alla sua visione delle cose: il legame “ab initio” tra il costruito e il programmato in senso urbanistico, dentro una cornice che includeva anche di definire il rapporto tra il progetto in se e la città che si apprestava ad accoglierlo. «Lui, con Aldo Rossi, pur partendo da pensieri diversi - spiega Alberto Winterle, che è oggi direttore di Turris Babel, la rivista degli architetti altoatesini - hanno aperto l’Italia al mondo e hanno portato l'Italia nel mondo. Ad assumere una dimensione internazionale». Gregotti pensava in grande. E molto in anticipo. I suoi progetti che tentarono di connettere questioni architettoniche con quelle sociali e sociologiche, come lo "Zen" di Palermo, o le "Vele" o il "Corviale" a Roma, costituirono i manifesti di un orizzonte democratico dell'architettura, in cui si provava a riprodurre la città "fitta" anche nelle periferie vuote. Fu molto contestato, Gregotti, per queste sue realizzazioni. Soprattutto lo "Zen" divenne il simbolo di una polemica tra chi vi vedeva una forzatura da sinistra di un’urbanistica troppo avventurosa. «Ma anche lo Zen, come il Corviale furono progetti lasciati a metà - commenta, accalorandosi, Carlo Calderan - perchè dopo aver fatto le mura, ci si limitò a immettervi settori sociali troppo omogenei, senza pensare a inserirvi il commercio, l’artigianato, le infrastrutture pubbliche, i collegamenti col centro e il resto della città». «Una architettura che ti porta via dal capriccio, dal "bignè" come diciamo tra noi» spiegano ancora Calderan e Winterle. Una pulizia, un rigore che fa quasi passare inosservate le sue architetture.

Perché Vittorio Gregotti non pensava alla stupefazione ma all’armonia. Ad un mondo in cui l’uomo fosse al centro e ci stesse bene. Senza dimenticare nella vicina provincia il progetto per la riqualificazione di Trento Nord, un’operazione in cui troviamo anche l’imprenditore bolzanino Pietro Tosolini, che volle Gregotti come progettista. P.C.













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