«Ho portato Leitner in Alto Adige»

Esclusivo, il parroco del carcere: «L'ho lasciato vicino casa ed è scappato»


Mario Bertoldi


BOLZANO. Max Leitner è in Alto Adige. La testimonianza diretta di don Giuseppe Bussolino, raccolta nella canonica della parrocchia Sant'Antonio di Valenzani (frazione di Asti), rivela aspetti sinora indediti dell'ennesima fuga del pericoloso rapinatore sudtirolese.

Max Leitner è scappato poco dopo le 16 di mercoledì scorso, a circa un chilometro dalla casa dei suoi famigliari a Naz ove era stato accompagnato in macchina dallo stesso sacerdote. Nonostante il suo passato e le quattro precedenti evasioni, sembra che per primi i giudici si fossero convinti che il «terribile» Max avesse messo testa a posto.

Nessuno l'ha messa in guardia sulla pericolosità di Max Leitner?

«Assolutamente no. Ora tutti si scandalizzano per quanto è accaduto ma la verità è che, in primo luogo, io non avevo alcun compito di sorveglianza, in secondo luogo nessuno mi ha mai illustrato il passato di Max»
Leitner era stato altre volte da lei in canonica?
«Sì, io mi ero detto disponibile ad accoglierlo per qualche giorno di permesso. Era già accaduto un paio di volte. Però in precedenza le indicazioni del tribunale di sorveglianza, erano state severe e dettagliate. In questa occasione era semplicemente previsto che lui potesse uscire dalla canonica alle 8 del mattino per farvi ritorno alle 21.30»
Ma lei che impressione si era fatto di questo detenuto?
«Lui mi ha sempre raccontato di essere stato un rapinatore, raccontava di aver effettuato diverse rapine ma sottolineava sempre di non aver mai provocato vittime. Proprio per questo si riteneva vittima dell'eccessiva severità della giustizia italiana».
Lei sapeva che avrebbe concluso di scontare la pena solo nel 2019?
«Assolutamente no. Anzi, tutti mi hanno sempre fatto intendere che fosse un detenuto verso fine pena. Grazie all'appoggio dei suoi legali e all'interessamento del fratello, Leitner aveva ottenuto un permesso di lavoro e in precedenza aveva ottenuto altri tre permessi per trascorrere qualche giorno da me in canonica. La prima e la seconda volta solo per tre giorni, la terza volta per quattro giorni, così come in questa occasione. Ma mai ho visto carabinieri o polizia effettuare controlli in canonica. Dimostrazione che nessuno lo considerava pericoloso. Aveva anche già ottenuto il permesso di trascorrere il Natale con i suoi famigliari e da gennaio contava di ottenere la semilibertà con ritorno definitivo in Alto Adige dove avrebbe lavorato di giorno con rientro la sera in cella per dormire»
Dunque questa nuova fuga rischia di essere un grave errore per Max Leitner?
«Penso proprio di sì. Prima o poi lo prenderanno e sarà costretto a scontare il resto della pena senza i benefici che ormai si era conquistato...»
Ma perché lei ha deciso di accompagnarlo in macchina vino a Naz?
«Mi ha chiesto un favore. Voleva incontrare la mamma. Mi ripeteva che il padre era morto di recente e che aveva paura che anche alla mamma non rimanesse molto tempo. Si metta nella mia situazione: l'ho fatto in completa buona fede, per aiuto ad una persona che me lo chiedeva...»
Ma lei sapeva che Max non avrebbe potuto allontanarsi da Asti?
«Assolutamente no. Sulle disposizioni del tribunale di sorveglianza era previsto l'obbligo per Max di essere in canonica dalle 21.30 alle 8 del mattino successivo. Di giorno poteva uscire ed avrebbe potuto scappare mille volte. E poi io non avevo alcun compito di sorveglianza. Io sono un sacerdote».
Ma non è vero che Leitner è fuggito nella zona di Rovereto?
«Ma no, in un'area di servizio a Rovereto ci siamo fermati a pranzare. Poi abbiamo proseguito sino a Naz. Siamo arrivati in zona verso le 16 di mercoledì pomeriggio».
E cosa è accaduto?
«Semplicemente mi ha fatto credere di essere arrivato alla sua casa. Mi ha detto: ecco ci siamo, fermati qui. L'ho fatto scendere. Io ho parcheggiato l'auto nel cortile di casa e poi ho aspettato fuori. Non volevo essere invadente nel momento dell'incontro di Max con la mamma. In realtà ad un certo punto l'ho cercato perché si stava facendo tardi. Mi sono così reso conto che in quella casa non abitava nessuno della sua famiglia».
Allora cosa ha fatto?
«Ho chiesto indicazioni sulla casa Leitner. Ci sono arrivato, ho anche incontrato il fratello che mi ha riconosciuto dato che ci eravamo visti ad Asti in canonica, ma di Max non c'era traccia. Prima di rientrare ad Asti l'ho ancora cercato ed aspettato. Purtroppo non si è più fatto vivo». Ma perché ha dato l'allarme con due giorni di ritardo?
«Anche questo non è vero. La verità è che sono tornato ad Asti nella notte e che ho dato l'allarme al carcere giovedì mattina, cioè la mattina seguente».













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