Lavoro

I fedelissimi dello smart working: tra i dipendenti pubblici sono tremila 

Fra i 300 e i 400 accordi individuali in Comune, 2.500 in Provincia. Modelli flessibili per adattarsi ai bisogni di uffici e cittadini. Vantaggi per l’ambiente e per la conciliazione con i tempi della famiglia. Ma svolgere mansioni da casa riduce le occasioni di confronto


Sara Martinello


BOLZANO. Due anni di pandemia, due anni di smartworking. Per la pubblica amministrazione è stata una rivoluzione, senz’altro agevolata dal digitale, e non priva di conseguenze sul piano individuale e sociale, positive e negative.

La pratica del telelavoro si sta stabilizzando; piace perché allarga il margine di conciliabilità con i tempi della persona e della famiglia. Restano gli interrogativi: che cosa succede quando lavoratrici e lavoratori non si incontrano più?

È il lavoro il tema del nostro approfondimento settimanale, a pochi giorni dal primo maggio, la Festa dei lavoratori nata nell’Ottocento delle proteste operaie. Lavoratori che si organizzavano – e continuano a organizzarsi – per rivendicare garanzie e diritti.

I numeri del Comune.

Su mille dipendenti comunali, fra i 300 e i 400 hanno stipulato accordi individuali per poter lavorare da casa uno o due giorni alla settimana. Bisogna tener conto che edili, operai, giardinieri e così via, insomma tutti mestieri da fare necessariamente in presenza, coprono circa il 50 per cento del totale. Se i singoli dipendenti già in regime di telelavoro faranno richiesta di proroga e se la valutazione dei dirigenti sarà positiva, gli accordi (in scadenza il 30 aprile) saranno rinnovati per un anno, fino a inizio maggio 2023.

Dall’assessore Angelo Gennaccaro un invito ai direttori degli uffici: «È un’opportunità da sfruttare al meglio, ma non deve costituire un alibi per rendersi irreperibili. Lo smart working deve essere un valore aggiunto per l’amministrazione, non un modo per togliere servizi alla cittadinanza. Dall’altro lato va sfatato un mito: durante la pandemia le protocollazioni sono triplicate, la produttività è aumentata. Non è vero che si è lavorato di meno

I 32 mila della Provincia.

Per quanto riguarda la Provincia il discorso è più complesso. I dipendenti dell’amministrazione provinciale in senso stretto sono circa 4.200, compresi ad esempio stradini e forestali. Negli uffici lavorano 2.700 persone. Poi ci sono gli insegnanti, circa 17 mila, e i 10 mila operatori della sanità, per un totale di circa 32 mila dipendenti pubblici. Dal primo aprile sono stati siglati 2.500 accordi individuali su una platea di 6-7 mila dipendenti, compreso il personale amministrativo delle scuole.

Il contratto collettivo stipulato il 3 dicembre 2020 con le organizzazioni sindacali prevedeva che una volta finita la pandemia sarebbe entrata a regime la modalità dello smart working. E così è stato: lo scorso marzo il direttore generale della Provincia, Alexander Steiner, ha emanato la conseguente circolare (la 7/2022). «Su questa base – spiega Steiner – sono stipulati gli accordi individuali che costituiscono il cuore del sistema. Un sistema altamente flessibile, si va dalla mezza giornata al mese ai due o tre giorni la settimana, adattabile alle esigenze di dipendenti e uffici e soprattutto della cittadinanza. Il focus restano i servizi alla popolazione».

Lo scorso marzo il 18 per cento del monte ore è stato prestato in modalità di telelavoro. «Come da previsioni. La percentuale si assesterà entro un’aliquota compresa tra il 15 e il 20 per cento».

Pro e contro.

Sia Gennaccaro sia Steiner mettono l’accento su un vantaggio oggettivo: meno lavoratori sulle strade significa autobus meno affollati e viabilità più snella. Ci guadagnano ambiente, salute e umore. Diretto il direttore generale della Provincia: «Un giorno a settimana elimina un quinto della mobilità dei dipendenti provinciali. Non tutti si muovono in modo ecologico».

In generale, l’obiettivo è di garantire il benessere dell’organizzazione e la conciliazione tra lavoro e famiglia. Da una frase dell’assessore comunale però si evince che certe rivendicazioni delle donne hanno ragione di esserci ancora oggi. «Molti dipendenti proprio non vogliono lavorare da casa. Soprattutto donne», nota Gennaccaro. Perché a chi resta tra le mura domestiche è richiesto – più o meno esplicitamente – di tenere d’occhio i bambini, di preparare il pranzo, di passare l’aspirapolvere, in molti casi compiti che le donne già svolgono una volta rincasate dopo una giornata di lavoro.

La digitalizzazione.

Sulla digitalizzazione Comune e Provincia puntano molto. Sull’alfabetizzazione digitale della cittadinanza e sul progressivo abbandono di faldoni e fogli volanti.

Gennaccaro butta un occhio al futuro. Parliamo di scenari che si realizzeranno tra decenni, non subito, e che a Bolzano arriveranno solo quando nelle città europee apripista saranno pratiche consolidate. «Quando la digitalizzazione sarà progredita e lo smart working sarà una consuetudine – spiega – non avremo più bisogno di dieci uffici per venti persone. Ne basterà uno, con postazioni informatiche da usare a rotazione per il giorno di lavoro in presenza. Archiviazione e protocollazione saranno in digitale, senza faldoni, senza moduli e documenti reperibili solo in un dato luogo fisico. Ci sono privati che già fanno così. Così com’è concepita oggi, la pubblica amministrazione fatica ad adattarsi al mondo in evoluzione».

Se però i lavoratori stanno a casa, divisi, hanno meno occasioni di organizzarsi. Perdono la consuetudine della sindacalizzazione. Gennaccaro replica: «Oggi i giovani hanno ambizioni e vogliono svolgere il mestiere per il quale hanno studiato. Piuttosto che lavorare per 1200-1300 euro al mese preferiscono la libertà». In giro per l’Italia ci sono trentenni che con quello stipendio comprano la libertà di affrancarsi dai genitori, almeno in parte. «Sì, in giro per l’Italia. Me li mandi in Comune, a Bolzano. Non troviamo dipendenti».













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