Il dolore a “il manifesto” «Lidia e quella politica bella e irripetibile» 

La direttrice Norma Rangeri: «Non aveva paura di restare sola a difendere le sue idee»



Bolzano. «mi ha fatto assumere lei...». norma rangeri adesso dirige “il manifesto”. ma un po’ di anni fa, taccuino in mano e scarpe comode, se ne andava a fare la cronaca delle assemblee femministe. «un giorno lidia dice alla redazione: ragazzi mi mandate quei pezzi? ho iniziato così». allora, primi anni settanta, al giornale c’erano loro. i fondatori. Luciana castellina, Lucio magri, valentino parlato, Luigi pintor, Rossana rossanda. e lei, Lidia menapace.

«è stata una figura straordinaria - ha scritto ieri la redazione de “il manifesto” - che ha fatto parte integrante, infaticabile e sempre originale, della nostra storia. fin dal 1969, quando la sua vicenda di politica dissidente, uscita con lettera polemica dalla dc, si incrociò col gruppo che veniva radiato dal partito comunista per ragioni considerate troppo di sinistra». due eresie non potevano che incontrarsi. ieri, in via tomacelli, a roma, sede del giornale, si è parlato quasi solo di lidia. le si dedicheranno pagine. anche la prima.

Direttore Rangeri, chi era Lidia Menapace?

Lei magari la correggerebbe. Meglio direttrice. Oppure direttora. Pensi che una volta, discutendo, di nomi e femminismo, trasformò una riflessione in una lezione. Partendo dal termine professora, che lei riteneva corretto anche sul piano della terminologia storica e professoressa, parola che nasconderebbe invece una “diminutio”.

Dunque?

Una donna mite, solare. Ma senza mai un cedimento. O un compromesso al ribasso. Per noi ragazzi che iniziavamo questo mestiere, un costante punto di riferimento. E si che ne avevamo, allora. Tra Rossana, Lucio...

Come la vedevate in redazione?

La sua figura politica non poteva essere mai separata dalla sua vita. Era di una coerenza disarmante. Lucida, specchiata. Politica e vita erano la stessa cosa. Ecco, era una anticonformista vera.

Cosa intende, che lo si può essere di facciata?

E certo. Spesso anche come atteggiamento. Si può andare contro per farsi notare. O per convenienza. Lidia no. Come parlava era. Così come faceva politica, in ugual misura si comportava nella vita e nel lavoro. Non aveva paura di restare sola, se era per difendere le sue idee.

Era inevitabile che vi incontraste, voi del Manifesto e Lidia Menapace?

Lei era una transfuga dalla Democrazia cristiana, allontanata dal partito e anche dall’università Cattolica perché dissenziente. I fondatori del Manifesto erano a loro volta stati allontanati dal Partito comunista italiano.

Due eretici di due chiese...

Due eresie che provavano a tracciare nuove strade. Riuscendo ad individuarle in un nuovo modello di giornale e anche di una nuova sinistra possibile.

Perché ha voluto farsi inviare i suoi articoli sulle assemblee femministe?

Beh, perché era una femminista. Convinta e lucida. Una delle prime in grado di elaborare un pensiero complessivo e farne azione politica. E anche capace di fare entrare quelle dinamiche del dissenso femminista e di critica alla società di allora, dentro le riflessioni della sinistra. Di connetterle.

Come era allora la redazione del giornale su questo piano?

Devo ammettere che “il manifesto” non ha mai peccato di eccessivo patriarcato. Le donne sono sempre state presenti, da Luciana Castellina a Rossana Rossanda e tante altre. Siamo sempre stati una redazione che ha discusso apertamente di queste dinamiche intorno al maschile-femminile, tanto che le donne hanno ricoperto spesso posizioni di vertice. Se non fosse stato così, Lidia avrebbe battuto i pugni o non sarebbe neppure entrata...

Altro elemento molto presente in Lidia Menapace è stato il pacifismo.

Anche in questo caso vissuto in perfetta coerenza con le sue idee. Pacifismo e femminismo sono stati due facce della sua stessa medaglia.

Come si manifestava questa sua coerenza?

Ovunque. Dalla partecipazione alle manifestazioni, all'elaborazione di scritti. Naturalmente nella politica. Una volta fecero scandalo le sue dimissioni. Era stata indicata come membro della commissione Difesa del Senato. Ad un certo punto disse basta e lasciò, sbattendo la porta. Troppo lontane le posizioni maggioritarie con la sua visione. La pace era un elemento centrale di ogni possibile scelta politica.

Avete scritto che lei era “espressione di una politica bella e probabilmente irripetibile, che Lidia ha contribuito a rendere ancora più bella”.

È così. Fin dai tempi di “Bruna”, il nome di battaglia da staffetta partigiana. È stata sempre lei, sempre se stessa, da quei giorni del 1943. ( p.ca.)

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