Il Natale sotto le bombe e il soldato americano

Il racconto di Ettore Frangipane: quel 25 dicembre del 1943 sul Colle


di Ettore Frangipane


BOLZANO. La mattina del Natale 1943, quaranta fortezze volanti del 391st Bombardment Group della 15a Air Force americana decollarono da un aeroporto delle Puglie per colpire la linea ferroviaria del Brennero. Le comandava il colonnello Jean R. Byerly, entrato in quell’incarico un mese prima. La squadriglia trasportava 300 bombe dirompenti. Contemporaneamente mia madre e le signore Halfer (moglie del primario pediatra all’ospedale di Bolzano) e Ferrari (moglie del comandante dei vigili del fuoco di Bolzano) si apprestavano a preparare il pranzo di Natale. Era previsto che si pranzasse insieme all’albergo “Klaus” del Colle, dove eravamo sfollati per sottrarci alle bombe. Gli Halfer e i Ferrari alloggiavano lì, noi in una casa vicina. Le signore erano riuscite a procurarsi, cosa eccezionale visti i tempi, un’oca, e mia madre l’avrebbe cucinata secondo una succosa ricetta sassone. Io avevo compiuto nove anni il giorno prima. La tavolata era numerosa, tra genitori e bambini eravamo in dieci. Erano da poco suonate le tredici e noi c’eravamo appena seduti, quando scoppiò l’iradiddio.

Incominciò col pervenirci, crescente, il rombo degli aerei che si avvicinavano, poi gli scoppi della contraerea, poi le esplosioni delle bombe. Lasciammo lì la nostra oca e scendemmo impauriti in cantina. Nelle settimane precedenti i nostri padri, guidati dal comandante Ferrari, avevano fatto sopralluoghi sui luoghi riparati più adatti a fungere da rifugi antiaerei (il 2 settembre Bolzano era stata bombardata una prima volta, poi altre cinque volte fino a Natale). L’ing. Ferrari aveva deciso che, in mancanza di meglio, le volte a botte in pietra viva della cantina del “Klaus” potevano servire a qualcosa. Così ci rifugiammo tutti lì, seduti tutt’attorno. C’era con noi anche il prete francescano, che saliva d’abitudine al Colle ogni giorno festivo per legger messa in quella chiesetta. Ricordo il frastuono delle bombe, che tambureggiavano incessantemente mischiandosi alle esplosioni della contraerea; ricordo soprattutto la terra che tremava, gli urli a bocca spalancata della Treasl che si trovava di fronte a me e si turava gli orecchi, il rosario recitato in tedesco dai contadini in tono crescente, alla fine quasi urlato, come a voler sopraffare il frastuono delle bombe: “Heilige Maria, Mutter Gottes…” Quando il rumore crebbe per altre bombe, che ci erano cadute vicine (per aerei che salivano dalla valle dell’Adige non era facile individuare il ponte ferroviario sull’Isarco, subito oltre il Virgolo), il prete si alzò e in piedi, al nostro centro, ci benedì: era l’assoluzione in articulo mortis. Noi ci eravamo inginocchiati e concludemmo, quasi gridandolo, con il rituale “Amen”. Poi il rumore si affievolì e subentrò il silenzio. La Treasl cessò d’urlare. Risalimmo le scale, prendemmo posto attorno alla tavola, l’oca s’era raffreddata e i nostri pensieri erano altrove. I genitori pensavano sicuramente alle nostre case: erano ancora in piedi? Poi si sparse la voce che erano atterrati dei paracadutisti. I nostri genitori scesero le scale, noi bambini subito dietro, ci dissero che c’era un inglese nella Stube. I nostri genitori ci entrarono chiudendoci fuori. Noi bambini (io, Adriana e Nives con i nostri nove anni eravamo i più “anziani”) non resistemmo alla curiosità e ci infilammo a nostra volta poco dopo. L’inglese, che era poi un americano, sedeva davanti a noi, sulla panca di legno. Isolato. Aveva un lungo volto, folti baffi e un occhio nero. Ci parve elegantissimo. Guardò sorridendo noi bambini. Poi estrasse il portafogli e ci chiamò a sé per farci vedere alcune foto: i suoi figli. Io mi tenni timidamente un po’ in parte. Poi la figlia del macellaio Staudacher, una bella donna in dirndl con un braccio bloccato dalla poliomelite, si mise a urlare e ci cacciò fuori. Sentii dire anche che aveva allungato un ceffone all’aviatore. Le donne, compresa mia madre e la signora Halfer, che aveva pratica d’ospedale, salirono al primo piano a curare l’altro aviatore, ferito. Noi bambini ci dirigemmo sulla terrazza dell’altro albergo, da dove si vedeva Bolzano: sembrava immersa nella nebbia, era la polvere alzata dal crollo delle case. Il giorno stesso i due americani furono condotti a valle (il ferito su un carro: la funivia era distrutta) dal padrone del “Klaus”, Anton Zelger, e dai suoi figli, armati di doppiette. Per sfuggire alle prossime bombe noi Frangipane lasciammo il Colle e ci spostammo a Nova Ponente, dove dopo ogni bombardamento raccoglievo le strisce lucide di alluminio che gli aerei lanciavano per ingannare i radar della Flak: mi servirono per ornare l’albero di Natale nel ’45.

Mi chiesi negli anni cosa ne fosse stato dei due prigionieri, finché un giorno il maresciallo Mario Rizza, che sui bombardamenti di Bolzano aveva fatto indagini attingendo informazioni negli USA, non mi fornì tutti i dettagli, compresi i nomi dei membri dell’equipaggio. Venni a sapere così che l’aereo era stato colpito sopra Ora, che per l’esplosione a bordo erano morti in quattro, che altri aviatori s’erano messi in salvo col paracadute, che l’aereo aveva perso quota precipitando poi tra i vigneti di Rencio (dove Lino Stefani, oggi titolare della libreria “Cappelli”, allora quindicenne, accorse per curiosità e per raccoglierne frammenti, come la gomma, che serviva a fare suole per le scarpe: Stefani due anni dopo fu arruolato nella Flak, Flugabwehrkommando). Qualche anno fa tramite Google entrai in contatto con un nipote di Byerly che mi mandò la foto che vedete in questa pagina: lo riconobbi subito. Il colonnello era finito in un campo di prigionia in Germania, ma a fine guerra era potuto tornare negli USA, ove era morto nel 1952. Un amico della famiglia Byerly mi ha raggiunto due anni fa a Bolzano, per sentirsi raccontare questa storia e scattare alcune foto, su al Colle.













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