Il Ramadan bolzanino tra «shebakia» e pizza

Ogni sera nella sede dell’associazione famiglie magrebine si rompe il digiuno Prima la preghiera, poi i piatti tipici assieme a quelli della tradizione italiana


di Antonella Mattioli


BOZLANO. Sono da poco passate le nove quando Mustapha Younes, il giovane Imam che nella vita di tutti i giorni lavora come meccanico, invita alla preghiera. Nel giro di dieci minuti la sede dell’associazione famiglie magrebine si riempie: arrivano marocchini, tunisini, pachistani, algerini, afghani. Sulla moquette verde bottiglia c’è già la tavola imbandita per l’ “iftar”, il pasto serale consumato dai musulmani per interrompere il digiuno durante il Ramadan. Quest’anno, quello che costituisce un periodo eccezionale dell'anno per i musulmani, è iniziato il 29 giugno e finirà il 28 luglio.

Il digiuno durante questo mese rappresenta il quarto dei cinque pilastri dell'Islam. In questi 29 o 30 giorni (dipende dalla luna) nei Paesi, dove i musulmani sono maggioranza, i ritmi della vita e del lavoro cambiano. E anche i musulmani che vivono ormai da anni all’estero, dall’alba al tramonto, rispettano rigorosamente il divieto di mangiare, bere e fumare. Unici esclusi: i bambini, gli anziani, i malati e le donne in gravidanza.

Il digiuno. A Bolzano il punto di ritrovo è nel cuore di viale Europa, in un locale all’interno di una palazzina che ospita anche il gruppo di Gries dell’Ana e altre associazioni.

Sono solo uomini, un po’ di tutte le età, che arrivano alla spicciolata carichi di sacchetti e grandi pentole. «Quello del Ramadan - spiega Hassan Ougoud, marocchino, dipendente dell’Assb e vicepresidente dell’associazione - è un periodo sinonimo di solidarietà e grande condivisione. In genere l’ “iftar” ciascuno lo fa a casa propria, ma noi mettiamo a disposizione la nostra sede per coloro che vivono soli, lavorano e non hanno tempo di prepararsi i piatti tipici e particolarmente energetici per stare un’intera giornata a digiuno completo. Le nostre mogli cucinano un po’ di più e poi si mette a disposizione di tutti».

Nei piattini di plastica ci sono i datteri e la “shabakia”, i dolci tipici del periodo: «Sono molto simili ai vostri crostoli con la differenza - dice Hassan - che voi li spolverate con lo zucchero a velo, noi li immergiamo nel miele e li cospargiamo di semi di sesamo». C’è il «bat bot», il pane cucinato in padella tipico della tradizione marocchina, da mangiare assieme alla «harira», la zuppa saporita e molto ricca di legumi che non manca mai durante il Ramadan. Si beve caffè ma soprattutto tè verde molto zuccherato con dentro la menta fresca.

Ma l’influenza della cucina italiana si fa sentire e soprattutto si vede nella tavola imbandita per rompere, dopo che è calato il sole, il digiuno.

La pizza. Accanto ai piatti tipici, ci sono tranci di pizza fatta in casa e la crostata con la marmellata di ciliege.

«Le nostre mogli - dice Hassan - non sono come le nostre madri che hanno ereditato le ricette dalle loro antenate. Oggi anche le donne lavorano e hanno meno tempo da dedicare ai fornelli. Ci si arrangia dunque come si può, andando ad esempio a comprare dolci come la “shebakia” nei negozi di prodotti etnici che ci sono anche a Bolzano. Dieci-quindici anni fa, quando sono arrivato qui, era un problema, oggi si trova tutto. Per la “harira” invece, nel caso in cui non si arrivi a prepararla a casa, si va al supermercato e si compra la Zuppa del casale che se non è uguale è molto simile ».

La preghiera. Nessun problema a rispettare la tradizione del digiuno e neppure per quanto riguarda i tempi della preghiera. «Lavoro in centro storico da “Zara” - racconta Essarti Marouan - e quando i colleghi fanno la pausa caffè, io ne approfitto per andare a pregare. Dove? Semplice: vado nel magazzino. Mai avuto problemi, anzi: c’è grande rispetto».

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