Il testimone inchioda l'omicida di via Rovigo

Iniziato il processo al guidatore del Suv. La famiglia Andriolo parte civile


Mario Bertoldi


BOLZANO. E' iniziato tutto in salita il processo a carico di Hafid El Maharzi, il giovane marocchino accusato di omicidio volontario (per dolo eventuale) a seguito del tragico investimento di via Rovigo. La testimonianza di Marco Ghirardini che il giorno della tragedia viaggiava in qualità di passeggero sul Suv investitore, sembra confermare in pieno il teorema della Procura. I famigliari di Guglielmo Andriolo (che fu falciato ed ucciso sul colpo mentre attraversava la strada poco distante l'incrocio con via Novacella) si sono costituiti parte civile con l'avvocato Marco Mayr. Il giudice Walter Pelino ha accolto la richiesta del collegio di difesa (sostenuto dagli avvocati Nicola Nettis e Alberto Valenti) di ammissione al rito abbreviato condizionato dall'esito di una perizia che dovrà ricostruire la dinamica dell'incidente. Sulla base di due filmati delle telecamere di sicurezza di un negozio, si dovrà cercare di stabilire la velocità del Suv e verificare se la vittima poteva o meno essere notata in tempo dal conducente. Buona parte della perizia sarà probabilmente affidata ai Ris di Parma (il reparto investigazioni scientifiche dei carabinieri). Intanto la Procura ha confermato l'imputazione di omicidio volontario, resistenza, guida in stato di ebbrezza e omissione di soccorso. Ad appesantire notevolmente la posizione di Hafid El Maharzi ci sono, come detto, le dichiarazioni agli atti di Marco Ghirardini, l'amico del conducente che la sera della tragedia viaggiava sul Suv killer in qualità di passeggero. La deposizione dimostrerebbe, secondo la Procura e la parte civile, che la condotta dell'imputato fu caratterizzata da totale indifferenza per l'incolumità e la vita delle persone presenti lungo via Rovigo. Hafid avrebbe agito con un unico scopo: sfuggire ai controlli della polizia municipale (era ubriaco fradicio) per salvare la propria patente di guida. Nei minuti decisivi, più volte Marco Ghirardini che gli sedeva accanto, avrebbe tentato di indurlo a rallentare. Anzi, Ghirardini chiese un paio di volte addirittura di poter scendere dal mezzo. Aveva paura. Tutto ebbe inizio in via Dalmazia, ad un posto di controllo dei vigili urbani. «Appena vide i vigili - racconta nella deposizione il teste - il conducente iniziò ad accelerare la marcia tanto che gli agenti furono costretti a gettarsi di lato per evitare di essere travolti». Da quel momento Hafid, che sapeva di aver bevuto parecchio, avrebbe agito con un unico obbiettivo: evitare di essere controllato. Anche a costo di provocare una tragedia. Lo prova anche la svolta in via Rovigo col semaforo rosso. Se un pedone fosse stato impegnato ad attraversare la strada non avrebbe avuto scampo. «In via Rovigo - puntualizza ancora Marco Ghirardini - il conducente continuò ad accelerare... percorsi circa 100 metri, giunti all'incrocio con via Novacella notai un pedone che stava attraversando...era già al centro della carreggiata. Urlai al conducente di frenare, invece cercò solo di evitarlo ma lo investì scaraventandolo contro un bidone...» Dopo la tragedia Marco Ghirardini scese dall'auto sotto shock e si allontanò. Si presentò ai vigili urbani solo il giorno successivo. Venne iscritto sul registro degli indagati per omissione di soccorso ma ora la sua posizione è stata archiviata. Resta però un testimone chiave: El Maharzi avrebbe forse fatto in tempo a frenare. Preferì però tentare di «scartare» il pedone per non fermarsi. Ieri il giudice ha respinto l'istanza della difesa per gli arresti domiciliari: troppo elevato il pericolo di fuga.

© RIPRODUZIONE RISERVATA













Altre notizie

Attualità