Innevamento, già spese decine di milioni

A dieci giorni dalle vacanze di Natale impianti aperti solo grazie ai 3.200 cannoni che coprono il 90% delle piste


di Antonella Mattioli


BOLZANO. L’ultima goccia di pioggia è caduta il 30 novembre, poi più nulla: una situazione analoga si è registrata solo nel novembre del ’24. E l’Ufficio meteo della Provincia non prevede cambiamenti, ovvero l’arrivo di perturbazioni, neppure nei prossimi giorni, ad eccezione forse di qualche piccola precipitazione nella parte nord della provincia.

Una situazione questa che, a dieci giorni dall’inizio delle vacanze di Natale, preoccupa gli operatori turistici e tutti coloro che, in maniera diversa, di questo settore beneficiano: l’acqua nei bacini per l’innevamento artificiale comincia a scarseggiare e, come se non bastasse, bisogna fare i conti con l’inversione termica. Dieter Peterlin dell’Ufficio meteo di via Druso parla di 5 gradi sopra la media in montagna. Ciò significa che anche di notte si fa fatica a mettere in funzione i cannoni, sostituti “tecnologici” - ma fino ad un certo punto ovviamente - dei fenomeni climatici.

Il fatto è che l’intera industria del turismo invernale è basata sulla neve. E se non c’è, bisogna crearla: costi quel che costi. Si parla di alcune decine di milioni di euro se si mettono insieme le spese degli impianti di innevamento, quelle di produzione della neve e del personale.

«Attualmente - spiega Sandro Lazzari, presidente del consorzio Dolomiti Superski che raggruppa 12 zone tra le province di Bolzano, Trento, Belluno - circa 250 su 450 impianti sono aperti e stiamo lavorando per completare i collegamenti. Le piste sono perfette, perché con l’innevamento artificiale si fanno miracoli. Purtroppo quello che manca è l’atmosfera, perché non è mai nevicato».

Si scia dunque su tracciati veloci, perché la neve artificiale è migliore di quella naturale, intorno però è tutto, temperature comprese, verde-primavera.

Ma quanto costa mantenere in piedi l’industria della neve in assenza di materia prima e soprattutto - davanti a quella che sembra essere una tendenza costante di aumento delle temperature e riduzione delle precipitazioni - ha ancora senso puntare tutto su questo tipo di turismo?

«I costi continuano ad aumentare - spiega Lazzari - e i margini di guadagno di chi gestisce gli impianti si riducono costantemente. Per questa stagione come Dolomiti Superski abbiamo lasciato invariati gli stagionali e ritoccato in media del 2,5% i giornalieri. Alla domanda se ha senso investire in impianti di innevamento, bacini artificiali, funivie e seggiovie la risposta è sì, perché si calcola che nell’arco alpino il turismo invernale dia lavoro a circa 400 mila persone. Non so però per quanto ancora si potrà andare avanti così: 15-20 anni».

In Alto Adige si è cominciato a dotarsi dei primi impianti di innevamento alla fine degli anni Ottanta, dopo due stagioni (1988-’89 e ’89-’90) senza neve.

«Sono passati più di 20 anni d’allora e oggi - dice Siegfried Pichler, presidente degli impiantisti dell'Alto Adige e direttore della Obereggen spa - il 90% delle piste in provincia di Bolzano sono coperte da impianti di innevamento: in tutto abbiamo 3.200 cannoni, di cui 200 solo nella zona di Obereggen-Pampeago che si è dotata anche di quattro bacini con una capienza di 140 mila metri cubi d’acqua».

Ma ormai non basta neppure avere l’innevamento artificiale, bisogna poter disporre di macchinari di ultima generazione, per produrre grandi quantità di neve nel minor tempo possibile, perché le giornate fredde sono poche.

«Una volta per innevare l’area del Dolomiti Superski - dice Lazzari - servivano 180 ore di lavoro a pieno regime dei cannoni, oggi 50-60 ore».

Costi?

«Dipende - spiega Pichler - si va da 1,50 a 4 euro a metro cubo. Per innevare il comprensorio Oberreggen-Pampeago-Predazzo spendiamo in media 1 milione e mezzo all’anno. Calcoliamo che l’innevamento artificiale pesi nella misura del 7-10% sul fatturato delle società».

Se fino a qualche anno fa solo le piste da discesa venivano innevate artificialmente, oggi anche le stazioni del fondo si devono adeguare, se vogliono sopravvivere. A passo Lavazè (1.805 metri), meta degli appassionati degli sci stretti altoatesini e trentini, ci sono sette cannoni che innevano i cinque chilometri dell’anello principale. «Abbiamo calcolato - spiega Richard Gurndin, membro della società di una ventina di privati che si è costituita per gestire il centro - che spendiamo circa 5 mila euro a chilometro». Ciò ha portato ad un notevole aumento dei prezzi: lo stagionale è passato da 80 a 120 euro. Non solo: Lavazé non è più nel consorzio Super Nordic Skipass che con un unico abbonamento consente di sciare in tutto il Trentino. Un vero peccato. Il motivo della rottura? «Il fatto che si calcolassero solo i passaggi - noi facevamo il 40% di tutto il consorzio - e non le spese che sosteniamo per innevare e mantenere al meglio da novembre a Pasqua le piste».













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