Inps, 42 aziende nella lista nera 

Le verifiche in Alto Adige. Sono sospettate di aver “mentito” per poter ottenere la cassa integrazione Covid inserita nel decreto Cura Italia In Italia sono 3075 le ditte finite sotto la lente. La vice presidente Gnecchi: «Durante l’emergenza non sono stati fatti controlli, adesso sì»



Bolzano. C’è una qualità che, purtroppo, è tutta italiana: l’innata capacità di individuare subito le falle di un sistema, l’attitudine a capire subito come raggirare le regole per ottenere vantaggi e agevolazioni a cui, in realtà, non si avrebbe diritto. E poco importa se quella “furbizia” danneggia chi, di quegli aiuti, avrebbe davvero bisogno. Gli esempi sarebbero tanti, in tutti i settori, ma l’ultima conferma è arrivata nelle scorse ore, da un’indagine condotta fino al 31 luglio dall’Inps, che ha stilato una lista nera delle aziende sospettate di aver frodato la cassa Covid. Tra queste, ben 42 sono quelle altoatesine.

Il decreto Cura Italia

Per venire incontro alle aziende particolarmente colpite dal Coronavirus, il 17 marzo scorso, il Governo ha approvato il Decreto “Cura Italia” che, tra i provvedimenti, contiene anche la cassa integrazione straordinaria o in deroga. Molte imprese si sono viste costrette e sospendere o ridimensionare il proprio lavoro a causa della crisi legata al Coronavirus. L’evidente scopo dell’estensione di questo ammortizzatore sociale era, quindi, quello di aiutare per un certo periodo di tempo l’attività delle aziende. La cassa integrazione, quindi, ha consentito di eliminare il costo della manodopera non utilizzata durante il lockdown, ma nuovamente rientrata al lavoro al termine dell’emergenza. Grazie al Decreto Cura Italia, la cassa integrazione ha permesso di mantenere il personale e coprire, anche in modo parziale, lo stipendio dei dipendenti.

I sospetti di Inps

A insospettire la Direzione e gli ispettori di vigilanza dell’Inps sono state le “anomalie” nella documentazione presentata da moltissime aziende, ben 3075 quelle finite sono la lente. In poche parole, molti imprenditori avrebbero pensato bene di “assumere” parenti o persone fidate per farle risultare dipendenti. Gente che probabilmente, in azienda, non ci ha mai nemmeno messo piede, ma che permetterebbero di incassare il denaro della cassa integrazione. Ovviamente, tutti i documenti di questo tipo hanno una cosa in comune: le assunzioni sarebbero avvenute tutte prima del 17 marzo 2020, giorno in cui è stato approvato il Cura Italia. Ma quello delle assunzioni retrodatate non è l’unico sistema adottato dalle aziende dei furbetti per ottenere la cassa Covid. Oltre alle assunzioni fittizie, infatti, l’Inps s’è trovata di fronte ad aziende probabilmente fittizie, tutte operanti in settori non compatibili con il lockdown, che sarebbero state create solo ed esclusivamente per ottenere la cassa integrazione. Aziende che, insomma, potrebbero esistere solo sulla carta e questa possibilità configurerebbe il reato di frode. Al momento, però, queste sono solo ipotesi perché dati ufficiali non ce ne sono ancora.

Le aziende a rischio

Le aziende finite nella blacklist di Inps hanno sede in tutto il territorio nazionale. Si va dalla Sicilia, con 465 aziende, al Lazio (265), all’Emilia-Romagna (238). In testa c’è la Direzione coordinamento metropolitano di Napoli (l’Inps ha venti direzioni regionali, una per ogni Regione, ma per tre città italiane esiste anche una Direzione di coordinamento metropolitano) con 457 casi. A queste aziende vanno sommate le 56 in Abruzzo, 119 in Calabria, 185 in Campania, 182 della Direzione di Milano, 291 di quella di Roma, 20 in Friuli Venezia-Giulia, 15 in Liguria, 195 in Lombardia, 19 nelle Marche, 8 in Molise, 22 in Piemonte, 158 in Puglia, 55 in Sardegna, 139 in Toscana. Completano la lista delle “sospettate”, 27 aziende della provincia di Trento, 85 dell’Umbria, 13 del Veneto e una della Valle d’Aosta. E le 42 altoatesine, appunto.

La vice presidente Inps

«Non sappiamo ancora quali siano queste aziende e non conosciamo nemmeno le motivazioni perché siamo in attesa della relazione da parte della Direzione centrale anti corruzione». A parlare è Luisa Gnecchi, vice presidente Inps, che spiega come, proprio per il carattere di emergenza del provvedimento del Governo, per la cassa integrazione Covid non occorreva rispettare alcuno dei parametri fissati per la cassa integrazione “normale”. E in fase di autorizzazione non sono stati fatti controlli proprio perché la volontà del Governo era quella di aiutare tutti nel modo più veloce possibile. «È chiaro che ora – continua Gnecchi – ora i controlli vengono fatti dagli ispettori, con l’accesso alle aziende, sia dalla Direzione centrale anticorruzione».

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