«Io, ebrea di 7 anni evitai Auschwitz La mia famiglia no» 

Al circolo Pd la testimonianza di Adriana Viktoria Zanellato «Mi salvai grazie al buon cuore di un maresciallo della Sod»


di Davide Pasquali


BOLZANO. Si salvò per caso, o meglio, per il buon cuore di una coppia. Per citare una canzone di Guccini, per fortuna non è diventata una bambina nel vento.

«Avevo sette anni quando ci denunciarono in quanto ebree. Io, orfana di guerra, mi salvai solo grazie al buon cuore di un maresciallo della Sod che mi prese sotto la sua protezione. Non andò così a mia zia e a mia cugina. Finirono ad Auschwitz. Morirono poche settimane prima che le truppe sovietiche liberassero il campo. Non le ho mai più riviste...»

Lo ha raccontato ieri sera al circolo Pd di Don Bosco Adriana Viktoria Zanellato. Nata nel 1936, è figlia di una ebrea, la pianista Grete Komblum, tedesca originaria della Slesia, oggi in Polonia, e di un ufficiale romano dell’esercito italiano, Dante Zanellato, di origini venete. «Sono nata a Bolzano, al Grieserhof. Poi, sono vissuta assieme con i miei genitori, purtroppo per pochi anni, al Renon». Il padre, dopo l’accademia militare, aveva scelto un mestiere più remunerativo: aveva la rappresentanza generale della Fiat in Thailandia. Dante e Grete si sposarono a Bangkok, «ma mia madre non sopportava il clima tropicale». Motivo per cui, la coppia tornò in Europa. La madre si trattenne qualche tempo in un albergo in Germania, per riprendersi. Poi l’hotel chiuse e una dipendente, Herta Pattis, che era sudtirolese, a Grete, in cerca di una riviera in Italia o Francia, consigliò la salubre riviera delle Dolomiti, ossia il Renon. Qui gli Zanellato decisero di prendere dimora nel 1931. Costruirono casa e divennero amici dei Pattis, Hans e Luisa, la coppia che poi salverà Adriana.

Nel 1936 agli Zanellato nasce Adriana, la prima e unica figlia, ma dopo soli tre anni, nel 1939, Grete muore. Pochi mesi dopo, nel 1940, ad Addis Abeba perde la vita in guerra anche Dante. Dopo la scomparsa della madre, Adriana Viktoria viene accudita dalla sorella maggiore della madre, Ilse Eckstein Komblum. «Nel 1939 la zia viveva a Berlino, dove, come ebrea, assieme alla figlia Ruth se la passava tutt’altro che bene». Si trasferì dunque volentieri sul Renon. «In quel periodo i Pattis - racconta Adriana - erano fra i pochi ad avere sentori concreti di ciò che stava per accadere. Così avvertirono mia zia Ilse: nasconditi. Ma lei non ne volle sapere, diceva che non aveva fatto male a nessuno e che tutti le volevano bene». Sbagliò, perché, il 22 settembre 1943, «un personaggio avido di racimolare nomi e indirizzi di ebrei» denunciò. «Arrivai a casa e vidi mia zia e mia cugina in lacrime. Ci portarono al Luna, in via Bottai, dove c’era il comando della Gestapo. Ma Hans Pattis, maresciallo della Sod, la Sicherungsordnungsdienst, si fece sentire: ero figlia di un ufficiale italiano, non ebreo, morto in guerra. Così mi salvò, ma non riuscì a salvare mia zia e mia cugina».













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