Kompatscher: «Andremo in fondo»

Il governatore: «La tragedia di Adan mi fa star male, voglio capire cosa è accaduto»



BOLZANO. «Adan? Una tragedia. Ancora ci sto male...Ma dico chiara una cosa: non doveva accadere. E per capire perché invece è accaduto andremo fino in fondo». Arno Kompatscher non lascia spazio a zone d'ombra, ai "non detto" in questa vicenda che ha scosso una comunità e l'ha posta di fronte a domande che mettono in discussione l'intero modello di accoglienza.

Questa determinazione il governatore l'ha chiarita ieri al teatro Cristallo, nel corso del dibattito "Alto Adige, una comunità in movimento?" che ha concluso la giornata inaugurale dell'anno accademico 2017/18 dell'Upad. Sollecitato sul tema dal direttore dell'"Alto Adige" Alberto Faustini, Kompatscher aveva subito chiesto di evitare di trarre conclusioni sul piano giudiziario («c'è un'inchiesta, lasciamo che faccia il suo corso», ha detto) ma ha pure invitato a dividere i due piani su cui si è dipanato il dramma del piccolo profugo curdo: «Un conto è capire perché è morto, un altro chiederci perché Adan è giunto a quel punto...». Non serve dividere la questione "in bianco e nero", anche perché, ha aggiunto «un'accoglienza c'è stata, seppur da parte di organizzazioni private, e la comunità altoatesina non è rimasta all'oscuro della sua situazione". Ma non c'è stata reattività da parte delle istituzioni pubbliche. E su questo il presidente non ha fatto sconti: «Un intervento pubblico avrebbe dovuto configurarsi, a questo proposito non ho dubbi. Ma non c'è stato, inutile negarlo. Sulle cause di questa mancanza e sulle eventuali responsabilità abbiamo avviato un'indagine interna che prescinde da quello che stanno accertando i giudici o i medici. Dobbiamo capire perché. E prometto di andare fino in fondo». Anche sull'accoglienza in generale e, in particolare, sulla gestione dei flussi migratori, Arno Kompatscher ha chiarito le sue direttrici di marcia. Che si muovono su due versanti: «Dobbiamo innanzitutto offrire garanzie alla nostra comunità sul mantenimento del nostro modello di vita. In sostanza - ha chiarito - si deve garantire la Heimat per poi poter gestire e garantire al meglio i modelli di accoglienza». In sostanza ecco il messaggio: essere sicuri di chi siamo e avere garanzie in proposito per poi essere più solidi nel governare i flussi fornendo una adeguata cornice di interventi. Una posizione che, interpretata politicamente, prova a tenere insieme le esigenze di sicurezza interna e le richieste identitarie in senso di comunità conviventi, con la presa d'atto delle conseguenze della globalizzazione. (p.ca.)













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