il caso

L’autonomia «diseguale» e gli italiani da integrare

Lo studio della società Gaismair: «Il disagio percepito esiste, l’agenda politica ora deve capire come far sentire il gruppo italiano finalmente a casa»


di Paolo Campostrini


BOLZANO. Gli italiani si lamentano professore? «Per la verità quasi tutti dicono di trovarsi bene dove stanno. Cioè nell'Alto Adige dell'autonomia. Ma poi... Poi dicono di sentirsi svantaggiati». È tutto qui il disagio: nel vedere altri che vanno più veloci. Günther Pallaver, docente di Scienze politiche a Innsbruck, ha appena finito di presentare la versione italiana del suo «Differenziazione etnica e stratificazione sociale in Alto Adige», la ricerca scritta con Hermann Atz di Apollis, Max Haller, professore a Graz e Antonio Scaglia, sociologo a Trento, intorno a un tabù: le variabili etniche in una popolazione abituata a ragionare su se stessa senza tenerne conto. E senza che nessuno finora gliele abbia raccontate. Soprattutto la politica. E pure l'Astat, l'ente provinciale di statistica, che si guarda bene dall'inserirle tra i suoi dati. La quale ricerca, al suo apparire nella sua prima edizione in tedesco, ci ha aperto un mondo sconosciuto, seppur immaginato: tedeschi meno colti ma più benestanti, italiani più colti ma meno ricchi, proprietà immobiliari, fondiarie ed azionarie nelle mani dei primi e secondi annidati invece solo nelle professioni con sempre meno potere reale.

Ma ieri all'Eurac, dopo mesi di lievitazione del dibattito, strumentalizzazioni e dimenticanze, era il tempo del rilancio.

E proprio Scaglia, il più duro e lucido nelle prime analisi, ha concluso il confronto tra ricercatori e sociologi, su come andarci oltre, al disagio: «Ci vuole coraggio. Come è stato coraggioso ai tempi del primo Statuto capire il disagio dei tedeschi schiacciati dalla Regione per aprire all'autogoverno della Provincia, così adesso serve capire il disagio italiano per arrivare a un terzo statuto che preveda più convivenza, meno gestione maggioritaria delle risorse e più scuola in comune».

Sembra un'agenda per l'incontro di domenica tra Bolzano, Mattarella e Van der Bellen nell'anniversario della quietanza liberatoria. E non è un caso che il libro sulla differenziazione etnica (Franco Angeli editore, 44 euro) abbia trovato una sponda statistica nell'altra ricerca, quella dell'Eurac sulla reale conoscenza della lingua nei due gruppi. «Chi dice che il disagio è solo percepito dovrebbe spiegare come mai, con ore e ore di scuola in tedesco, i ragazzi italiani lo sanno sempre meno», si è chiesto Italo Ghirigato sindacalista e sociologo. Per il quale esistono dati oggettivi di asimmetria. Che sono il calo del prestigio nelle qualifiche lavorative dopo il lavacro della proporz nel II statuto e i giovani sempre più in difficoltà. «Poi c'è il disagio soggettivo - ha spiegato - tutto dentro una politica italiana frammentata e poco coesa ma anche nella discrepanza tra una democrazia che dovrebbe essere negoziata e paritetica, e il potere effettivo della maggioranza».

È qui che il mondo tedesco sbaglia, per Ghirigato, nel non capire che così aumenta il disagio: «Nel sindacato, ad esempio, la Asgb che rappresenta un terzo dei lavoratori, ha lo stesso peso nell'agenzia provinciale, degli altri tre sindacati». Andrea Carlà, politologo all'Eurac, ha guardato come un entomologo ai dati sulla stratificazione sociale altoatesina.

Rilevando come aspetti rivelatori del disagio siano talmente evidenti da offrire squarci molto chiari sulla situazione: «Nelle élite, ad esempio, il malessere non emerge. Ma nei sottogruppi sì. Negli strati sociali a più basso reddito, per dire, gli italiani guadagnano comunque 300 euro in meno all'anno dei loro vicini tedeschi. E la piccola imprenditoria, altrove motore del dinamismo economico italiano, si regge quasi esclusivamente sul mondo tedesco».

Ecco il disagio segmentato, sottospecie post moderna del nostro vivere qui. Michela Morandini, consigliera di parità, papà trentino e mamma della val Casies, ha parlato di un Alto Adige ancora fermo al passato com uomini che lavorano e donne, per la maggioranza, in casa coi figli. «E dopo 50 anni, pur apprendendo dalla ricerca che le famiglie miste sono le più avvantaggiate, sappiamo che i matrimoni misti sono sempre fermi all'10%. Un po' pochini dopo così tanti anni di vita insieme...».

Alla fine Günther Pallaver ha aperto alla speranza: non ci sono più segregazioni etniche, la società è più permeabile, il 10% degli italiani vota partiti tedeschi e il 5% dei tedeschi fa il contrario, arrivano i nuovi cittadini. Ma il nostro laboratorio etnico chiamato Alto Adige ha una sola speranza: ammettere i suoi limiti, riconoscere le difficoltà del gruppo ora minoritario e riformarsi. Come ha fatto col II statuto. Ma farlo guardando alla realtà di "una società differenziata" e non omogenea. Senza più tabù.













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