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L’Eurac: il 40% dei ragazzi non parla mai in tedesco

Le ricercatrici: «Non abbiamo criticato né la scuola altoatesina né il bilinguismo». Vettori: «Mancano dati scientifici sul Clil, studiamolo assieme per migliorarlo»



BOLZANO. «Non era nostra intenzione né criticare il Clil né la scuola italiana né, tantomeno, il plurilinguismo. Ma se il 38,9% dei ragazzi altoatesini non conversa mai in tedesco qui c’è un bel problema da risolvere». A sostenerlo sono le ricercatrici dell’Istituto per la linguistica applicata dell’Eurac Chiara Vettori e Andrea Abel, autrici dello studio Kolipsi II che ha evidenziato le lacune dei diciottenni altoatesini nell’uso della seconda lingua. Nei giorni scorsi 266 genitori avevano scritto un’accorata lettera al giornale per difendere le scelte del mondo della scuola.

«Ci fa piacere - replicano le ricercatrici - che anche i genitori di lingua italiana facciano sentire pubblicamente la loro voce e siamo loro grate perché ci forniscono l’occasione per porre fine a un malinteso generato da un’interpretazione fuorviante dei risultati di Kolipsi II». Tengono a ribadire, le linguiste, «che con il nostro studio non abbiamo “messo in dubbio la validità del metodo Clil”: il metodo Clil non è stato in alcun modo l’oggetto della nostra indagine, dunque non è stato né valutato, né tanto meno criticato». Il loro obiettivo era «capire se gli studenti sono in grado, a un anno dalla maturità, di interagire nella vita di tutti i giorni nella seconda lingua».

Per questo se ne sono testate le competenze e si sono raccolte una serie di informazioni utili a comprenderne comportamenti, atteggiamenti, abitudini ed esperienze. Fra queste ultime anche quelle maturate a scuola, o tramite la scuola, come i gemellaggi e l’insegnamento veicolare della seconda lingua.

Metà del campione di studenti italiani iscritti nelle quarte superiori nell’anno scolastico 2014/15, chiariscono oltre, «ha dichiarato di aver fatto esperienza di insegnamento veicolare del tedesco (chi solamente in un grado scolastico, chi in tutti e tre) e noi abbiamo provato a osservare se esiste una correlazione fra questo tipo di esperienza, che per noi rappresenta una variabile al pari della motivazione o dell’atteggiamento nei confronti della comunità di seconda lingua, e i risultati dei test».

L’esito per quanto concerne il campione è noto: «Non si osservano differenze statisticamente significative tra le competenze di chi ha fatto esperienza veicolare di insegnamento del tedesco – e dunque è stato esposto a un numero maggiore (e senz’altro variabile da studente a studente) di ore di tedesco tramite questo tipo di esperienza - e gli studenti che non hanno fruito di questa possibilità. Niente di più e niente di meno». Inoltre, si sono esaminate le impressioni degli studenti e dei loro genitori in merito alle esperienze Clil maturate. «Ne emerge - e lo abbiamo detto chiaramente durante la presentazione dei risultati dello studio - che la maggior parte degli studenti e dei genitori dà un giudizio positivo dell’esperienza Clil e ritiene che abbia influito positivamente sulle conoscenze linguistiche e contenutistiche». In particolare, «la maggioranza degli studenti ritiene di avere acquisito un bagaglio lessicale più ricco e di aver imparato molte nozioni della materia, anche se più di un terzo dei ragazzi non è convinto di non aver perso delle informazioni essenziali nella materia».

Il giudizio in assoluto meno positivo è quello relativo all’apprezzamento della seconda lingua «che non pare aver tratto un’ulteriore spinta dall’esperienza Clil». In merito a quest’ultimo punto «si osserva una discrepanza fra le impressioni dei ragazzi e il sentire dei genitori, che dichiarano in più larga misura che i propri figli hanno imparato ad apprezzare di più la seconda lingua grazie all’insegnamento Clil». Le ricercatrici sono le prime a rallegrarsi «dell’entusiasmo mostrato dai genitori dei bambini iscritti nelle cosiddette classi bilingui per i progressi linguistici dei loro figli». È nell’interesse di tutti, chiariscono, «che il bilinguismo e il plurilinguismo siano una realtà concreta e diffusa nella nostra società ed è bene ribadire, se mai qualcuno avesse frainteso, che il nostro lavoro ha come obiettivo proprio la promozione e il sostegno del bilinguismo/plurilinguismo in Alto Adige».

Ma da che mondo e mondo «la valutazione fa parte del processo di formazione e di crescita: perché, dunque, invece che serrare i ranghi e arroccarsi su posizioni di difesa e tutto sommato di chiusura, non si coglie l’occasione per fare il punto della situazione, individuando le aree di eccellenza e le criticità – che inevitabilmente ci sono, come in tutte le cose – e da lì ripartire con nuovo slancio sulla strada verso una società dove non accada, per esempio, che il 38,9% dei ragazzi italiani dichiari di non utilizzare mai il tedesco per chiacchierare?».













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