L’Eurac: tedesco, il Clil non fa miracoli

Le ricercatrici: non ci sono differenze statisticamente significative tra chi ha seguito lezioni veicolari e chi non le ha seguite


di Davide Pasquali


BOLZANO. Il Clil non è la panacea. Questa, per usare un eufemismo, la posizione espressa dai ricercatori dell’Eurac, che hanno scandagliato in lungo e in largo le competenze linguistiche degli studenti di quarta superiore. Peggio ancora: l’insegnamento veicolare utilizzando la seconda lingua servirebbe a poco o addirittura nulla. Un esito pesantissimo, per la scuola altoatesina, italiana in particolare, che da vent’anni ha puntato quasi tutto sul Clil.

«L’aver partecipato a progetti Clil - scrivono nell’abstract dello studio Kolipsi II le linguiste Abel e Vettori - non rientra tra i predittori di buone competenze di seconda lingua». Fra gli studenti di lingua tedesca solamente un quarto circa ha fatto questo tipo di esperienza, nella stragrande maggioranza dei casi alla scuola superiore, mentre fra quelli di lingua italiana è quasi la metà ad aver fatto esperienza di didattica Clil e un quinto di loro ne ha fruito dalle elementari fino alla maturità. In generale, si sottolinea oltre nello studio, il giudizio nei confronti di questo approccio è positivo, specie per quanto concerne la sensazione di aumento delle competenze linguistiche ma anche contenutistiche. Non sembra invece che, grazie al Clil, «aumenti l’apprezzamento nei confronti della seconda lingua studiata». E infine, la vera bordata. Nel solo caso degli studenti di lingua italiana, si è voluta verificare se la didattica Clil abbia inciso sulle competenze linguistiche e in quale misura. Non si è fatto altrettanto con gli studenti di lingua tedesca, poiché il campione che ha fruito della didattica Clil è assai piccolo e l’esperienza troppo recente per poterne valutare gli effetti sul lungo termine. Comunque sia, senza tanti giri di parole, seppure utilizzando algide espressioni accademiche, le linguiste scrivono testualmente: «I risultati degli studenti di lingua italiana hanno mostrato che non ci sono differenze statisticamente significative né tra chi ha avuto esperienza di insegnamento Clil e chi ha fruito della didattica tradizionale, né tra chi ha fruito dei metodi Clil in un solo grado scolastico e chi invece ne ha fruito in due o in tutti e tre i gradi scolastici».

E i risultati raggiunti parlano da soli. Tenendo conto del quadro europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue (A1 = livello minimo, C2 = livello massimo), il 34,3% degli studenti che hanno sostenuto la prova scritta di tedesco L2 mostrano competenze medie, ossia di livello B1, il 12,9% competenze di livello B2, il 37,6% solo competenze di livello A2, ossia poco più che elementari. Solo una minima parte (5,1%) ha competenze di livello alto, ossia C1 o C2.

Prendendo in considerazione il primo studio Kolipsi, risalente a sette anni fa, si evidenzia la stabilità degli studenti con competenze di livello B2 (14,7% contro 13,8%) e C1 (5,3% contro 6%), mentre la situazione è mutata in peggio per tutti gli altri livelli. La percentuale di studenti con competenze di livello B1 è passata da 50,2% a 34,5%, quella con competenze di livello A2 è salita da 29,1% a 36%, così come quella con competenze di livello A1, il più scarso, che è passata da 0,7% a 9,8%. Sulla base dei dati raccolti, e considerando anche quelli riguardo la scuola tedesca - meno preoccupanti in termini assoluti, più preoccupanti per il peggioramento alquanto più sostanzioso registrato negli ultimi sette anni - le ricercatrici Eurac puntualizzano un dato di fatto assai preoccupante: «Si può affermare che per entrambi i campioni, di lingua italiana e tedesca, l’obiettivo di raggiungere il livello B2 alla classe di maturità, previsto da entrambi i sistemi scolastici, appare più lontano rispetto a sette anni or sono». L’evidenza è tanto più critica «non tanto e non solo se si pensa al più che ragguardevole monte ore di insegnamento della seconda lingua e alle numerose iniziative intraprese per il potenziamento linguistico, ma soprattutto se si osserva che la percentuale di ragazzi che non faticano molto a partecipare attivamente alla vita quotidiana nella loro seconda lingua o che addirittura non sono pressoché in grado di farlo è sensibilmente aumentato».

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