L’ultimo viaggio di Zandonai e la “diretta” del direttore

Il giornale raccontò il trasferimento delle spoglie da Pesaro a Rovereto


di Fabio Zamboni


BOLZANO. A sfogliare l’”Alto Adige” nei primi anni del dopoguerra, è difficile imbattersi in notizie diverse da quelle legate alla faticosa ricostruzione dell’Europa attraverso gli accordi internazionali e a quelle legate alle primi crisi di governo – una tradizione tutta italiana - gestite da Alcide Degasperi. Ecco perché in questo nostro viaggio a ritroso attraverso i settant’anni del quotidiano di Bolzano e Trento fondato nel 1945 ci soffermiamo oggi su una notizia solo apparentemente poco clamorosa: la traslazione della salma del celebre compositore trentino Riccardo Zandonai da Pesaro alla natia Rovereto. Per giorni, ai primi di giugno del 1947, quando una copia costava 10 lire, l’Alto Adige dedicò titoli a caratteri cubitali e pagine intere a questo evento, inviando a Pesaro nientemeno che il direttore del giornale Tullio Armani. La notizia, curiosa, fu trattata con una completezza di dettagli e una prosa d’altri tempi. Oggi nemmeno una cerimonia per ricordare Claudio Abbado potrebbe avere un riscontro così importante, anche perché le notizie in quei primi anni del dopoguerra erano ridotte a venti-trenta righe dato che era impossibile approfondire un tema su quotidiani che avevano, come l’Alto Adige, quattro sole pagine.

Il titolo di apertura di quel 4 giugno 1947 è: Vanno a salutare il Maestro / in procinto di andare per sempre. Sottotitolo: «L’esposizione della salma nella cattedrale di Pesaro. Domani le spoglie partiranno alla volta di Rovereto». Il lungo articolo firmato “tuar”, ovvero Tullio Armani, era interrotto a metà da un intertitolo che spiegava in un corpo (la grandezza del carattere) importante che l’articolo era “per telefono dal nostro direttore”. Altri tempi. Mica c’era il computer portatile: l’inviato aveva una macchina per scrivere più meno portatile oppure faceva capo alla redazione di un altro giornale, da dove scriveva e poi dettava il pezzo al telefono a una figura ormai estinta, quella del dimafonista. Il quale registrava la telefonata e sbobinava poi l’articolo stoppando il testo con un pedale in base alla propria velocità di scrittura.

Fatto sta che in quei giorni l’inviato era nientemeno che il direttore. Che da Pesaro scriveva così: «Le spoglie mortali di Riccardo Zandonai sono state riesumate questa sera alle 18, mentre vibravano nell’aria le onde sonore delle campane delle chiese di Pesaro. Per i viali alberati che corrono al mare, nella calura già torrida di questa latente estate adriatica, sono state portate a spalla dai docenti del Conservatorio musicale “Rossini”, seguite dalla moglie, dalla figlia, da tutte le autorità della provincia, da una rappresentanza di Rovereto con il gonfalone della città, fino nel centro di questa Pesaro gli fu particolarmente cara e che lo amò di devoto amore».

L’inviato descrive minuziosamente il percorso: «La bara è stata portata nella cattedrale attraverso anguste vie, chiuse da alti palazzi medievali, da templi romanici, da vecchie case che il tempo ha patinato del coloro grigio-sporco proprio delle pietre storiche: qulle vie che egli percorreva col suo passo concitato e rapido come se nuove idee sempre lo incalzassero e nuovi timbri e ritmi gli turbinassero nel cervello».

L’articolo ricorda poi gli ultimi anni del Maestro: «Durante la guerra sfollò nel convento di Monte Barroccio con la consorte e la figlia. Di là, nel maggio del 1944, lo ricoverarono per un atto operatorio nell’ospedale del Trebbio Antico. Le sue forze, già deboli, andavano esaurendosi lentamente; ma restava indomabile in tutto il suo vigore lo spirito. Poco prima di spegnersi egli disse con voce vibrata: “La battaglie contro il male è perduta, ma questo mio cuore trentino, questo mio cuore montanaro non vuol morire!”».

Riccardo Zandonai, di nascita trentina (Sacco, presso Rovereto), si era trasferito a Pesaro con la famiglia e lì aveva frequentato il Conservatorio “Rossini” divenendo a sua volta docente, oltre che affermato compositore e direttore d’orchestra. A Pesaro era morto nel 1944, in piena guerra, e dunque era stato sepolto temporaneamente nella sua città d’adozione. Ma i trentini reclamavano le sue spoglie e nel 1947 la solenne traslazione si realizzò, come il nostro quotidiano racconta con ricchezza di particolari.

Il 5 giugno nelle pagine interne un altro amplissimo servizio ancora firmato dall’inviato con lo pseudonimo di Tuar.

«Pesaro ha dato questa mattina l’estremo omaggio alle spoglie mortali di Riccardo Zandonai,. Per l’occasione tute le sue genti si erano radunate nel centro della città ed erano accorse anche dal contado: più numerose quelle di Monte Barroccio e di San Bortolo, dove il Maestro aveva eretto la sua casa al limitare di un faggeto ancor giovanetto, che doveva ricordargli nelle pause del suo lavoro le selva della sua terra natale(...) A Rimini altra folla attendeva le spoglie del Maestro alle quali ha reso omaggio: così a Bologna, così a Verona dove nei pressi della stazione si era radunato moltissimo popolo a dare il suo estremo saluto. In Trentino la prima manifestazione del ricordo perenne e dell’affetto delle sue genti al Maestro si è avuta a Lizzana. La gente del borgo era scesa compatta sulla strada per fare ala al passaggio. Lentamente l’autofurgone ha attraversato il paese mentre a banda suonava una marcia funebre. Intanto il popolo roveretano si era radunato ad attendere e aveva animato insolitamente il lungo corso Rosmini, colmando anche il piazzale della stazione. L’autofurgone è giunto poco dopo le 19.30. (...) Domani il Maestro troverà finalmente la sua patria. Alle 8 la bara sarà traslata a Sacco. Si formerà un lungo corteo che sarà aperto da tremila scolari degli istituti cittadin. Una lapide ricorderà il nome del compositore illustre e recherà al sommo una scritta tratta dal libretto di “Giulietta e Romeo”: Alba di luce».

A centro pagina un riquadrato per i lettori del quotidiano: «Avviso ai lettori: l’Alto Adige riportetà nel suo numero di domani una intera pagina dedicata al cantore di “Francesca”, alla sua figura di uomo e di artista e alla sua immortale opera». Il giorno dopo a tutta pagina, a sei colonne il titolo era: «Zandonai nella pace della sua terra». Accanto, un approfondimento firmato Guglielmo Barblan su “L’uomo (1883-1944) e la sua arte” per ricordare la figura di Zandonai e le sue opere principali: “Francesca”, “Giulietta e Romeo”, “La farsa amorosa”, ma anche la sua produzione sinfonica: Concerto romantico, i Quadri di Segantini, la Rapsodia Trentina.

Il giorno dopo a cinque colonne un articolo intitolato: “Le “sue” montagne nel cuore”. Umberto Tomazzoni spiega la sua tesi sulla “fiera solitudine della montagna” che ha innervato le opere di Zandonai: «Chi nasce tra le montagne porta con sé per tutta la vita il sigillo delle Alpi. Resta montanaro, quand’anche dovesse vivere di faccia al mare… Zandonai era montanaro, nella sua sincerità primitiva, e per come schivava l’esibizionismo…».

Nella stessa pagina dell’Alto Adige, di quel 6 giugno 1974, la notizia della serata commemorativa che si sarebbe tenuta al Teatro Zandonai di Rovereto, protagonisti il direttore trentino Antonio Pedrotti e il soprano Maria Carbone. A quel punto, Riccardo Zandonai poteva riposare in pace, nel cimitero di Sacco.

Fabio Zamboni













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