La cittadinanza onoraria premia l’arte di D’Andrea

Al celebre jazzista l’onorificenza assegnata in novembre allo scrittore Zoderer Presentato da Segala e Kontschieder, il pianista si è anche esibito dal vivo


di Gigi Bortoli


MERANO. A fine novembre, a essere insignito del titolo di “Cittadino onorario di Merano” era stato lo scrittore Joseph Zoderer. Ieri, nella stessa elegante sala del Kurhaus il prestigioso riconoscimento è andato a Franco D’Andrea, per molti meranesi della sua generazione familiarmente “Franchino”, pianista di fama internazionale, eletto nel 2010 dall'Académie du Jazz di Francia miglior musicista jazz europeo dell'anno.

Ad aprire la serata sono stati il sindaco Paul Rösch e il vice Andrea Rossi, ai quali va il merito, con la nuova amministrazione, di aver ripristinato dopo tanti anni il riconoscimento della cittadinanza onoraria. E ieri sera la musica l’ha fatta da protagonista. Da un lato con la proiezione di uno spezzone del film “Franco D’Andrea Jazz Pianist”, quindi, dopo le laudatio pronunciate dal giornalista Giuseppe Segala e da Ewald Kontschieder (che con D’Andrea ha dato vita all’Accademia mitteleuropea del Jazz in riva al Passirio), con le note dal vivo con musicisti dei laboratori meranesi dei primi anni: Enrico Tommasini, Stefano Colpi, Stefano Raffaelli, Fiorenzo Zeni e Walter Civettini.

E in chiusura è stato inevitabile coinvolgere nella musica un emozionato e felice Franco D’Andrea, che di buon grado s’è unito agli altri musicisti.

Al centro della cerimonia ci sono stati gli interventi di Segala e Kontschieder, che hanno messo in luce il lato umano e quello musicale di D’Andrea. “Per condensare in modo significativo il temperamento di D’Andrea, la sua originalità, la sua coerenza – ha detto Segala - ci vorrebbero forse le parole di un poeta. Certo, un poeta che non usasse termini altisonanti e astrusi, ma che parlasse il linguaggio della quotidianità, come hanno fatto i nostri migliori poeti. E come fa Franco quando si esprime con il proprio strumento, sempre alla ricerca della poesia più asciutta, scarnificata, ma profondamente vera, scaturita da un linguaggio che sta mirabilmente sospeso tra la quotidianità e il soprannaturale. Il suo lavoro reclama frequentazione, confidenza, attenzione, disposizione alla scoperta e allo stupore”.

“In D’Andrea – ha sottolineato il giornalista – sono manifeste la capacità di essere curioso, di osservare processi e idee che nascono dentro se stessi, quindi la capacità dialogica nei confronti di altre persone, la sensibilità dialettica di mettere in relazione forme e stili diversi dell’espressione musicale e infine la capacità di utilizzare in modo personale i materiali della propria arte”.

Ewald Kontschieder, da parte sua, si è intrattenuto sul rapporto di D’Andrea con la sua città natale. E, come fosse un segno del destino, ha rivelato che la strada in cui visse, via Ortwein 15 (che diede il nome a un brano dell’album “Dialogues with super-ego” del 1980), è dedicata al Musicus P. Magnus Ortwein (1845-1919), che fu anche direttore al Benediktinergymnasium.

“Non era attirato dalla musica, Franco - ha aggiunto Kontschieder - ma fu l’ambiente circostante (la madre era pianista) a trascinarlo in tale mondo. Negli anni 50, in città si faceva molta musica. Franco passò dal clarinetto al sax soprano, al contrabbasso, per finire, a 17 anni, col suonare il pianoforte. A portarlo al jazz furono le amicizie, in particolare quella con Vittorio Cavini, poi le trasmissioni radiofoniche e il punto di ritrovo degli amanti della musica, il negozio di Hans Munter in piazza della Rena. Un punto di riferimento – ha proseguito Kontschieder - fu anche Konrad Pleickner, che sfornò diverse formazioni legate al Dixieland e al jazz di New Orleans. Una delle prime formazioni di Old time jazz vide Franco al clarinetto e alla tromba nel primo set, quindi, nel secondo, al pianoforte. Poi D’Andrea si trasferì a Bologna (nel 1961) per studiare medicina. In realtà il “meranino” (così era chiamato) si avvicinò ai nomi di quella scena jazzistica: il Lucio Dalla clarinettista, Maurizio Majorana, Nunzio Rotondo. Nel 1963 il trasferimento a Roma. E lì altri incontri, in particolare quello con il sassofonista argentino Gato Barbieri”. D’Andrea conosce la sua anima gemella, Marta Monfredini, e arrivano i primi dischi, una pietra miliare quale Modern Art Trio, l’inebriante esperienza di Perigeo, una storia che allarga gli orizzonti, imbocca due album di piano solo, Dialogues with Super-Ego e Es”.

D’Andrea è un musicista conosciuto e riconosciuto a livello internazionale, ammirato dagli altri musicisti. Non casuale, ieri, il messaggio inviato dall’americano Dave Douglas e letto dal Kontschieder prima del brindisi generale.

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