La ricercatrice Eurac: «Più vicini, più bilingui»

Chiara Vettori insiste: «I ragazzi assorbono le tensioni politiche tra i gruppi» L’insegnante Cornelia Brugger: «Partiamo dall’asilo, ormai siamo pronti»



BOLZANO. La scuola bilingue non è l'unica strada per finalmente capirsi "nel quotidiano" tra italiani e tedeschi ma è la premessa indispensabile: «Perchè, al di là delle metodologie didattiche - è stato detto - c'è bisogno di conoscersi. E dove si conoscono i ragazzi se non a scuola? Cioè frequentando la stessa scuola?».

È questo il senso dell'incontro voluto da "Sinistra-die Linke" che ha riaperto il dibattito accesosi dopo la pubblicazione dei risultati dello studio Eurac sull'incapacità di gran parte degli studenti italiani di avere un normale colloquio "naturale" nelle due lingue. Per questo al convegno di "Si" al circolo della stampa (dal titolo senza equivoci "Abbiamo un piano: scuola bilingue") il segretario Luca Di Biasio ha invitato per prima a parlare Chiara Vettori, una delle due ricercatrici dell'Accademia Europea che ha elaborato il complesso studio Kolipsi II sulle conoscenze linguistiche dei ragazzi altoatesini dei due gruppi. È sorpresa per il clamore suscitato? «Un po' sì - dice - perchè i nostri dati sono lì, chiari e tutti li possono vedere. Sono cifre e numeri. Che da noi ci sia un problema di reale conoscenza dell'altro ... ma che lo sia ancora dopo dieci anni di insegnamenti veicolari, ecco, dovrebbe farci riflettere».

Ed è stato questo il "focus" dello studio: testimoniare un disagio persistente e anzi in aggravamento nell'uso della lingua, nonostante gli sforzi di tutto l'apparato didattico impegnato su metodologie innovative. Per la studiosa poi, ci sono altre questioni su cui porre l'attenzione. La prima: «Ci sono troppe aspettative sulle metodiche e poca attenzione sul contesto. Mi spiego: i ragazzi inevitabilmente percepiscono quello che accade loro intorno, e cioè la distanza tra i gruppi, le polemiche sulla toponomastica o su altre questioni di cui si parla in famiglia e sui giornali, le differenze culturali, e tutto questo si riversa sul loro interesse verso il mondo tedesco e dunque sull'altra lingua». Per Chiara Vettori sarebbe quindi necessario che, oltre la scuola, fosse la società capace di creare situazioni "normali" e quotidiane di incontro tra i gruppi. Senza questo, tutto sarà più difficile. Ecco dunque la spinta verso la scuola bilingue, non solo in senso didattico ma pedagogico tour court. Tanto che Cornelia Brugger, ex sindacalista, insegnante d'asilo, ha proposto, come molti intervenuti, la creazione di scuole per l'infanzia bilingui, dove iniziare un percorso di contatto reale con l'altro. Partire, insomma, dalla base della scuola andando ad intervenire negli asili. Non è un mistero che già oggi molti genitori italiani cerchino di aggirare l’ostacolo iscrivendo i propri figli alla scuola dell’infanzia tedesca. C'era anche Fabrizio Dabolò al convegno, un consigliere comunale di Sinistra Italiana a San Pietro sul Natisone, in provincia di Udine. Protagonista, negli ultimi 15 anni di un esperimento di insegnamento bilingue friulano. In questo caso portatore dell'esperienza di una scuola mista italo-slovena che, nel 2011, «operava quasi ai limiti della legalità - racconta - e che oggi invece raccoglie decine e decine di ragazzi. E chi ha vissuto tutto questo vede nel bilinguismo una possibilità di annullamento dei ghetti. Sia linguistici che sociali. E soprattutto umani. Stare a scuola insieme non ha significato solo imparare meglio l'altra lingua ma conoscere chi la parla, giocare con lui e capirlo». (p.ca.)

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