Venti di guerra

«Le nostre famiglie in pericolo»: paura nella comunità ucraina 

Le donne venute in Italia per lavorare e sostenere i figli vivono nell’angoscia: «I miei ragazzi sono in età da richiamo alle armi. Siamo preoccupati». L’ex console onorario russo: «Gli Usa si fermino»


Sara Martinello


BOLZANO. «Mia madre è ancora in Ucraina: stiamo facendo di tutto per portarla qui». «I miei figli sono in età da richiamo alle armi. Abbiamo paura». Sono le voci delle donne ucraine venute in Italia dieci, vent’anni fa. Hanno mandato nel loro paese i soldi per crescere i figli, accuditi dai nonni. «Quasi tutte le famiglie ucraine hanno un membro emigrato per inviare denaro», spiega Ludmilla Novosad, che lavora a Bolzano come badante e come collaboratrice domestica. Ora sentono la guerra sempre più vicina alle loro famiglie.

La paura per le famiglie.

L’ingegnera Novosad è partita da una cittadina vicina a L’viv nel 2003, dopo la chiusura della fabbrica dove lavorava. All’inizio dovevano essere due, tre anni. Sono diventati diciotto. «I miei figli oggi hanno 40 e 33 anni. Uno vive in Ucraina, l’altro in Russia, hanno famiglia. Ci sentiamo due volte al giorno. Come provo a informarmi sul web mi imbatto in notizie discordanti e l’incertezza sale. Alimenta la paura. L’Europa e gli Stati Uniti aiutano il nostro amatissimo paese, ma siamo preoccupati: alla Russia la Crimea e il mar Nero non bastano, vuole l’Ucraina con le sue risorse. Ha sempre cercato una scusa per invadere l’Ucraina. Viviamo nell’angoscia».

Olena Vasnieva prende in mano la penna per segnare la posizione della sua città sulla cartina del Corriere della Sera. L’viv, la bella Leopoli, mille anni di storia e 730 mila abitanti. A trecento chilometri dai mezzi corazzati e dall’artiglieria dei mille soldati russi in attesa a Brest, in Bielorussia. «Ho mia madre ancora in Ucraina. Stiamo facendo di tutto per portarla qui, ma non è facile, ci vuole il visto. Lo ripete anche mio marito (italiano, ndr): il prima possibile», la signora Vasnieva lo dice dalla cassa del piccolo supermercato in cima a via Torino, crocevia di culture e lingue. È arrivata nel 1997, prima a Napoli, poi a Bolzano dal 2004, perché aveva deciso di partorire nella città nordica che nel 2000, in tre giorni di vacanza in Alto Adige, le aveva rapito il cuore. «Con mia madre parliamo al telefono. Io leggo i giornali ucraini su internet, lei invece cerca di limitarsi, guarda poco la televisione perché la paura è tanta. Siamo un po’ lontani dalla frontiera, ma se i soldati la attraversano ci impiegano poco. Il pericolo è per tutti i paesi ex Urss».

«Siamo tutti un popolo».

A Bolzano, chiunque venga dai paesi dell’ex Unione sovietica passa di qua per fare la spesa. Ci sono anche molti clienti bolzanini. A bere il caffè o l’horilka invece si va da Nadiya Tsurkan, ucraina, proprietaria di un bar in via Buffulini e del supermarket. Il mezzogiorno del sabato è il ritrovo di persone di ogni età, dalle madri coi bimbi nei passeggini agli uomini più attempati. Tsurkan è cittadina italiana e ormai ha tutta la propria vita in Italia, dove è arrivata nel 2003 per lavorare. Nel 2010 ha aperto il bar, nel 2021 il supermercato. Non crede che la guerra possa scoppiare davvero: «I media leggono gli eventi come se fossero nuovi, un’emergenza pronta a esplodere. Ma la tensione va avanti da anni. Noi dei paesi ex Urss siamo un popolo». Viene da Odessa, adagiata sulle sponde settentrionali del mar Nero. Oltre un milione di abitanti. Stretta fra la Transnistria e la Crimea.

Intanto, al supermercato esteuropeo, Valentina e Yurij si avvicinano alla cassa. Sono moldavi e dal 2004 vivono qua. «Siamo proprio lì, nel mezzo», cioè fra la Gagausia e la Transnistria, filorusse, «ma non crediamo che scoppierà la guerra. Ci speriamo, che non scoppi il conflitto armato. In Russia poi ci sono tanti ucraini e moldavi. Si risolverà tutto con la politica, così com’è nato. No, negli Usa non abbiamo alcuna fiducia, e la Russia è sempre stata una potenza mondiale. Succedesse qualcosa ci andremmo di mezzo tutti».

«La Nato si fermi».

Bernhard Kiem è stato console onorario della Federazione russa per il Trentino Alto Adige a Bolzano dal 2010 al 2015. Un cultore della Russia e un attento interprete della situazione geopolitica. «La prossimità di una guerra è un’invenzione degli Stati Uniti distante anni luce dalla realtà. L’unica guerra in atto è quella che si trascina nel Donbass dal 2014, ed è combattuta principalmente con mezzi Usa». Kiem fa un parallelo con il territorio altoatesino: «Ai tempi del Majdan le scuole e la lingua russe sono state vietate in tutta l’Ucraina. Per la popolazione è stato come per i sudtirolesi sono state le Opzioni. Inaccettabile».

L’unica ragione alla base dello schieramento di truppe russe lungo i confini dell’Ucraina, spiega Kiem, «è l’espansione della Nato verso est, contrariamente agli accordi presi alla caduta del Muro di Berlino. «Negli ultimi trent’anni la Russia avrebbe potuto invadere l’Ucraina ogni giorno e arrivare a Kiev in meno di una settimana. I militari sui confini servono a fermare la Nato, non a entrare in Ucraina. Russi e ucraini sono sempre stati popoli fratelli: questa è una guerra fredda, politica, che confidiamo non diventi calda. C’è anche un’importante dipendenza economica reciproca tra i paesi occidentali, Italia compresa, e la Russia».













Altre notizie

Attualità