«Lidia resiste»: 93 anni di politica 

Menapace: «I robot ci cambieranno la vita, ma non lo capiamo». Ieri sala piena



BOLZANO. Lidia Menapace si dichiara marxista, tendenza Rosa Luxemburg: «Ha esercitato una straordinaria analisi critica, ha corretto alcune delle teorie di Marx. Sicuramente era più brillante di Engels. L’hanno assassinata. Non voleva morire. Ma Rosa è diventata l’”eroica compagna che si sacrifica”. Con le donne va sempre a finire così, sono sempre pronte al sacrificio, che è un modo per non riconoscere le loro qualità intellettuali». Di lei invece, di Lidia Menapace, Alfred Ebner (segretario Cgil) dice: «L’ho incontrata durante la campagna elettorale. Tra tutti i candidati, mi è sembrata quella con la più acuta capacità di leggere cosa ci sta succedendo».

Sala Anne Frank piena ieri pomeriggio per il documentario «Lidia Resiste». Resiste come partigiana, «anche se non ho mai imbracciato un’arma, ma si fa resistenza anche non violenta». È un film nato in Toscana (promosso dallo Spi della Cgil), girato a Bolzano, a casa di Lidia Brisca Menapace, 93 anni, in giro per la città tra le tracce del fascismo, di Mayr Nusser e della sua vita politica. A 93 anni è una personalità di primo piano della politica italiana, prima donna consigliera provinciale a Bolzano, poi assessora, cofondatrice del Manifesto, femminista, senatrice. Il documentario è firmato da Massimo Tarducci, con don Andrea Bigalli (Libera Toscana), che raccontano: «C’è così tanto da dividere con lei, che vorremo che questo film fosse solo il primo. Lidia è pura vita». La pensa così anche Sabina Guzzanti, che in campagna elettorale è venuta a Bolzano per raccontare Lidia Menapace candidata di Potere al popolo. A proposito, dice la protagonista dopo la proiezione, «sapete cosa significa democrazia? Potere al popolo. E allora perché non ci avete votato?». Tarducci e Bigalli hanno costruito un documentario molto personale della piemontese trapiantata a Bolzano. Scorrono le sue fotografie di bambina, partigiana, giovane donna, signora elegante, pacifista sempre. La sua bandiera arcobaleno è tra le poche ancora appese ai balconi di Bolzano. Racconta i suoi amori. Il matrimonio mandato in fumo quasi alla vigilia. Il fidanzato, psichiara abbiente, commette l’errore di prometterle «ti aprirò un salotto letterario». Passo falso. «Chi ti ha chiesto niente? Io voglio lavorare». Eugenio Menapace, il marito, «l’incontro con lui è stato il momento più felice nella mia vita», fa breccia nel suo nomadismo promettendole che per lui «ognuno è quello che è», che significa «rispetto assoluto per tutti».

Dichiara «non ero così preoccupata da tanti anni». Il punto, dice, «è che siamo arrivati a un tale livello di ignoranza... Siamo già dentro una rivoluzione. Il lavoro verrà sostituito dai robot. Ce l’abbiamo davanti, questa cosa, e non ce ne accorgiamo». Bisogna tornare alle parole, dice. La resistenza inizia dalle parole, la grammatica è politica. «Lo so, che dicono che sono pedante, ma insisto: si dice tutte e tutti, si dice sindaca, avvocata, perché le donne sono più degli uomini. Bisogna smetterla di usare le metafore militari, non si vince, si ha successo, non si combatte una battaglia, si ingaggia una lotta. Su questi temi vorrei una legge di iniziativa popolare». Ripartire dalle parole significa anche «ricominciare a parlarsi, scambiandosi delle opinioni». A organizzare la proiezione di ieri, il coordinamento delle donne del sindacato pensionati della Cgil, con Elide Della Lucia (Bolzano) e Daniela Cappelli (Toscana). La sintesi di Lidia Menapace: «Sono felice, perché in una sola vita ho attraversato la Resistenza, il ’68 e la crisi del capitalismo». Ma immaginarsi «che avremmo cambiato il mondo», dice, «era un po’ eccessivo». (fr.g.)

©RIPRODUZIONE RISERVATA.













Altre notizie

Attualità