Lo Stabile porta in scena Eichmann, il Male col “passaporto” altoatesino 

La pièce, Ottavia Piccolo nei panni di Hannah Arendt che seguì il processo al pianificatore dello sterminio


Paolo Campostrini


Bolzano. Da Piccoli (Fantasio) a Piccolo (Ottavia), è sul filo di una vocale che Bolzano corre intorno ai 70 anni del suo teatro stabile. E lo fa innescando un altro cortocircuito. Quello tra Adolf Eichmann “il burocrate dello sterminio” posto di fronte ad Hannah Arendt, che assistette al suo processo e alla condanna, in Israele dopo la cattura, ponendo le basi per il suo libro “La banalità del male”. Perché il cortocircuito ci riguarda? Perché Eichmann fu salvato dall'arresto da parte degli alleati in Alto Adige. Luogo in cui, del 1946 al 1950, venne posta in essere la più grande “centrale per l'espatrio” dei criminali nazisti. Definizione dello storico austriaco Gerald Steinacher. Con Termeno snodo della falsificazione dei documenti. Eichmann riparò in Sud America sotto il falso nome, ma tutto sudtirolese, del tecnico Richard Klement.

Eichmann, responsabile della pianificazione “tecnica” della deportazione di milioni di ebrei nei campi di sterminio, venne poi stanato nel 1961 dal Mossad in Argentina, catturato, portato in Israele e condannato a morte al termine del processo raccontato poi dalla Harendt in uno dei libri più importanti del Novecento.

E proprio la Arendt campeggia con una sua frase, “nessuno ha il diritto di obbedire” che illumina, ma allo stesso tempo oscura nella nostra piazza del Tribunale, il duce a cavallo. Complice di tutti gli Eichmann che passarono di qui. Ci toccano, dunque, questi due volti. Come tutto l'Alto Adige, che si vide lacerato tra bene e male, tra dittatura e obiezioni di coscienza, dentro le sue contraddizioni di terra presa da infinite conflittualità della memoria. Altro nodo che si scioglie?

Ottavia Piccolo, che interpreta in scena la filosofa e politologa, è nata a Bolzano ( mentre Paolo Pierobon vestirà i panni di Eichmann) e qui riporta le sue riflessioni su quel tempo ma soprattutto sul nostro: «Quello che è accaduto allora non vede protagonisti solo gli angeli del male, come Eichmann. Ma tutti noi. Tanti uomini e donne che non seppero scegliere - ha detto ieri all’avvio delle prove di “Eichmann, dove inizia la notte”, la nuova produzione dello Stabile - di fronte alla dittatura e all’orrore della Shoah. Dittature che, spesso, non hanno patria: dagli orrori nazisti, alle tragedie sovietiche o del Ruanda».

Perché alla fine, dentro il male, c'è l'uomo che non cambia. L'immortale “altro da noi” che resta sul confine tra l’orrore e il bene e che, precipitando nel primo, si giustifica come Eichmann: « Io obbedivo, non sapevo...». Ecco, dice Ottavia Piccolo “perché dobbiamo vigilare”.

È uno spettacolo che picchia duro, questo voluto da Walter Zambaldi, direttore dello Stabile per riaprire una stagione inquieta e oscura come questa del Covid. Il quale pensa a “Eichmann, dove inizia la notte” e guarda a se stesso. E anche a Bolzano. Perché Eichmann è passato di qui. Ha trovato complicità e adesioni. Ha camminato nelle stesse vie che percorriamo anche oggi. Ma lui lo ha fatto dopo aver ucciso milioni di ebrei con le sue firme sugli invii alle camere a gas. «Portare a Bolzano lui mi fa avere le stesse sensazioni che ebbi durante i miei viaggi a visitare i campi di sterminio - dice Zambaldi - perché c'è la consapevolezza di essere sfiorati dal male. Di esserlo nel concreto, con presenze reali. E Eichmann ci ha sfiorato, con la sua presenza allora...». Ecco l'attualità, il senso a-temporale di portare a teatro il dialogo-intervista tra i due personaggi, perché questo è il percorso scenico pensato dall'autore, Stefano Massini, e dal regista, Mauro Avogadro. Un lungo e avvolgente chiedere conto della Arendt a Eichmann -Clement del suo ruolo, dell'adesione al progetto di sterminio. A quel suo parteciparvi come un comune impiegato-soldato che tratta numeri invece di persone, che uccide bambini come schiacciare una mosca con una ciabatta sul muro. Banalmente. Ma portando questa insulsa obbedienza dentro le nostre coscienze.

«Perché l'uomo è sempre lo stesso. Allora come oggi» dice Mauro Avogadro, il regista. Ed è questa la banalità. Tutta dentro la ripetitività dei comportamenti. E soprattutto degli alibi messi sul tavolo per autoassolversi. Come ha sempre provato a fare, magari convinto in cuor suo, lo stesso angelo della morte durante il processo a sui fu inviata la Arendt. Eichmann come Josef Mengele, altro criminale nazista fatto fuggire attraverso le centrali altoatesine, col nome del meccanico Helmuth Gregor. È un percorso di autoanalisi collettiva, questo testo che, si spera, potrà essere messo in scena a metà gennaio.

Tant'è che nasce da un lavoro radiofonico scritto da Massini proprio per la tv germanica, in un Paese che ha fatto del proprio confronto critico col nazismo una delle base della sua nuova democrazia. Senza vie di fuga ma guardando in faccia il male. Un percorso che qui abbiamo compiuto, forse, con un certo ritardo, sia nei confronti del fascismo italiano che del nazismo stesso. Ieri, in sala, all'avvio delle prove per la messa in scena, c'erano tutti i protagonisti. Ma anche la città. Giovanni Salghetti, a capo del cda, Corazzola, l'assessora alla cultura Chiara Rabini. E il sindaco. « Bolzano non smette di amare la cultura - ha detto Renzo Caramaschi - e non smette dal dopoguerra. E' il Comune che ha messo in piedi lo Stabile con Fantasio Piccoli, Scaparro, Bernardi. Come ha fatto col Busoni e la Haydn. E come ora sostiene, anche economicamente, gli sforzi del teatro per superare questa momento di crisi». La stessa città che ha voluto la Arendt sopra il duce. Certo, queste prove ora in corso dicono anche un’altra cosa. «Siamo uno dei pochi teatri che non ha mai chiuso - dice orgoglioso Zambaldi - garantendo l’esistenza di tanti attori e tecnici e impiegati. Ma se non lo fa un'istituzione pubblica come lo Stabile, chi altro?».

E una invocazione è giunta anche da Ottavia Piccolo, con Pierobon e Avogadro: «Si parla di riaprire tutto ma non i teatri. Ecco, aiutateci. In teatro si prenota, ci si distanzia, si entra contingentati. Se c'è la sicurezza che i centri in questi giorni non sono riusciti a garantire, con tutta quella folla, perché non darci respiro?». Già, perché?

Una domanda sospesa. Ma non lo saranno le domande che Hannah Arendt porrà a Eichmann. E ponendole a lui, continuerà a farle anche a noi: dove inizia il male? Dove si trova il confine che mostriamo di poter superare in tante occasioni? «Il teatro prova sempre a portare qualcosa a tutti. Magari tanto. Non tutti prenderanno tutto - dice infine Mauro Avogadro - tuttavia a noi basta anche quel poco che ognuno, nelle sue possibilità, riuscirà a portarsi a casa, la sera». Ecco come a Bolzano torna il teatro civile.













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