Morta nel suo giaciglio la clochard del Talvera

Elisabeth Fischnaller aveva solo 46 anni. Da 10 anni viveva sotto il ponte. Un passante ha notato la donna priva di vita e ha chiamato la polizia


di Susanna Petrone


BOLZANO. È morta Elisabeth Fischnaller, 46 anni, la clochard che da oltre dieci anni viveva sotto il Ponte Talvera, lato monumento. L’allarme è stato lanciato nella tarda mattinata di ieri da un passante che ha notato il corpo esanime sui materassi. Si è avvicinato al giaciglio della donna. L’ha chiamata. Ha capito che quegli occhi azzurri che lo stavano fissando erano “spenti”. Fermi, immobili. E ha chiamato la polizia. L’hanno trovata lì, dove tutti eravamo abituati a vederla: sui materassi, avvolta tra le coperte e le pagine dei giornali. «Morte naturale, provocata da arresto cardiaco». Questo è quanto si legge sul rapporto del medico arrivato sul posti e che ne ha constato il decesso. I funerali verranno pagati dal Comune, visto che Elisabeth non possedeva niente e con i parenti non aveva più rapporti da anni.

Elisabeth era originaria di Bressanone. La sua è stata una vita difficile. Così difficile da spingerla a lasciare il mondo “convenzionale” per scegliere la strada. Un’infanzia infelice, un’adolescenza fatta di violenza. Ha sempre rifiutato qualsiasi tipo di sistemazione alloggiativa. Ha sempre rifiutato l’aiuto degli altri. Gli esseri umani le avevano fatto tanto male. Troppo male. Per questo aveva deciso di “esiliarsi”, di vivere in un mondo parallelo.

Un mondo duro. Un’umanità marginale la sua e spesso disperata, vissuta tra sporcizia e topi, feci e materassi lerci, tra spacciatori e prostitute. Come tanti altri clochard, si era accampata sotto le arcate e tra i piloni di uno dei ponti di Bolzano. Una decina di anni fa, però, si era “guadagnata” un posto fisso sotto Ponte Talvera. E da lì, nessuno era mai più riuscito a farla andare via. Nemmeno quando il Comune decise di “ripulire” la zona, tentando di convincere i senzatetto a trovare una sistemazione stabile. Elisabeth, come Hans Cassonetto, non ne volle sapere. Lei aveva già un posto stabile, fatto di materassi e sacchi a pelo, cartoni e coperte. Un tavolino e un fornelletto a gas. Non le serviva altro. Qualche volta ti fermava e ti chiedeva due cose: «Per favore, hai una moneta? E una sigaretta?».













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