Il virus

«Non c’era più un letto, è stata davvero durissima. Ma la sanità ha tenuto» 

Il vicedirettore sanitario Asl Pierpaolo Bertoli ripercorre i giorni terribili di due anni fa, quando il Covid si affacciò anche in Alto Adige: «I primi casi gravi a febbraio 2020. Il 9 marzo il primo ricovero in Rianimazione»


Valeria Frangipane


BOLZANO. «È andato tutto veloce, talmente veloce da non aver quasi tempo di pensare». Pierpaolo Bertoli, medico, vicedirettore sanitario Asl, ripercorre i punti salienti di due anni di pandemia in Alto Adige. 

«Vedevamo le immagini della Cina... di Whuan... non ho mai pensato che potesse arrivare da noi un virus mai visto prima. Non c’erano armi per combatterlo. È stato un incubo. A fine marzo 2020 un giorno ci siamo guardati... non sapevamo se avremmo avuto posto per tutti. avevamo messo i letti con i pazienti Covid ventilati anche nelle sale operatorie, in sala risveglio... Per fortuna non siamo mai stati costretti a scegliere tra chi attaccare alle macchine e salvare e chi no». mai scelto tra anziani e giovani.

Ricorda il primo positivo? Oggi i guariti toccano quota 177.265

Certo era il 24 febbraio 2020. Un trentenne di Terlano che si era contagiato in Lombardia. Quel giorno ho capito che la pandemia iniziava anche da noi ma non avevo l’esatta percezione del disastro che ci aspettava. No, non ce l’avevo.

Era iniziata la prima ondata, ricorda i primi casi gravi?

Si sono arrivati di lì a uno/due giorni. Era fine di febbraio. Non eravamo assolutamente pronti all’impatto. E come noi il resto del mondo. I primi positivi sintomatici arrivavano in ospedale in ambulanza, li ricoveravamo al San Maurizio, in Malattie infettive. Facevamo il molecolare che all’inizio veniva processato a Roma. Il risultato arrivava in 24/48 ore. Altro che test rapidi!

Il primo paziente in Rianimazione? Il primo lockdown? E le mascherine? Le avevate?

Il primo paziente è arrivato in Rianimazione il 9 marzo 2020, giorno in cui è scattato il primo lockdown duro. E in tre settimane erano diventati più di 50. Non sapevamo come gestirli, sentivamo i colleghi della Lombardia che erano più avanti perchè l’epidemia lì era partita prima, ci confrontavamo anche con i medici all’estero. Non esisteva una cura standardizzata, non esistevano protocolli chiari e non si trovavano mascherine. Tutto il personale sanitario lavorava senza sosta e aveva paura. Giorni terribili.

Che età avevano i pazienti che ricoveravate in Rianimazione?

Non erano solo anziani come tanti pensano. Il 20% aveva meno di 50 anni ma c’erano anche dei giovani.

In che condizioni arrivavano?

Faticavano a respirare, stavano molto male. Pazienti da sedare, da mettere in coma artificiale. Malati attaccati alle macchine per respirare. Ogni 16/18 ore venivano capovolti. Dovevamo impedire che i polmoni si schiacciassero e dovevamo far si che si riempissero al meglio. E tanti di loro sono morti soli, non era possibile, all’inizio, far entrare i parenti.

Il primo decesso e la richiesta d’aiuto ad Austria e Germania. Il momento più difficile?

Ricordo bene la prima vittima. Era l’11/12 marzo 2020. Una donna di 85 anni e c’era stata una vittima anche in Trentino. Oggi l’Alto Adige conta 1.406 decessi. La situazione si faceva di giorno in giorno più difficile. Non sapevamo più dove mettere i letti. Il 2 aprile del 2020 i nostri ospedali si sono trovati a gestire 400 malati gravi. Ne avevamo 54 in Rianimazione... ed abbiamo chiesto aiuto ad Austria e Germania che per fortuna ne hanno accolti ulteriori 11. Negli ospedali ce n’erano altri 251 e 84 nelle cliniche. Un momento dfavvero critico. Perchè anche se molti hanno perso la memoria questo è successo, con questo ci siamo confrontati. Le strutture tutte erano in fortissima difficoltà. Poi la pressione è andata calando, con la bella stagione sembrava che tutto fosse rientrato nella norma. Poi in autunno la seconda mazzata.

Il Covid le ha portato via qualcuno?

Sono morti familiari di amici di età non troppo avanzata.

Si aspettava una seconda ondata? Il secondo lockdown?

No non mi aspettavo che la situazione potesse peggiorare nuovamente e farsi tanto critica. E poi con l’autunno è arrivato il secondo lockdown. Al 19 novembre contavamo 526 ricoveri (39 in Rianimazione, 353 nei reparti ed altri 134 in clinica). Numeri che tornavano ad essere impressionanti. Con il personale sfinito. Eravamo tutti a terra. Ma ricordo anche l’immensa partecipazione allo screening di massa. La popolazione aveva capito ed ha fatto la sua parte. Un segno di indiscusso senso civico. E ricordo anche l’abbraccio corale ai medici, agli infermieri, a tutti quelli che si sono dati da fare. E ringrazio anche per loro.

A dicembre 2020 è arrivato il vaccino. Lei cosa ha provato?

Un assoluto senso di liberazione, eravamo al punto di svolta, avevamo in mano un’arma che sarebbe stata risolutiva. E così in effetti è stato.

Il momento più bello?

L’inizio delle vaccinazioni al San Maurizio. Era il 27 dicembre. I primi a farlo sono stati medici ed infermieri. Da quel momento il virus ha iniziato via via a fare meno paura. Mano a mano che la popolazione si vaccinava e metteva in sicurezza le strutture sanitarie hanno iniziato a respirare. Non oso pensare cosa sarebbe successo con le varianti, Omicron e più di tremila nuovi contagi al giorno se la popolazione non fosse state in gran parte immunizzata. Non credo possa essere immaginabile.

Lei è vaccinato?

Certo, sono medico. Ed ho anche avuto il Covid per fortuna in forma lieve.

Dottor Bertoli, ha vissuto la pandemia da dentro, cosa pensa delle battaglie no vax? Di chi non ha mai visto in faccia il virus - e se l’ha visto lo nega - e pontifica?

Dico che ognuno è libero di decidere per sè. Ma dobbiamo pensare anche a chi ci sta accanto ed avere fiducia nella scienza. E poi ci sono momenti in cui la civiltà deve fare quadrato. Adesso solo grazie alle vaccinazioni gli ospedali stanno tornando in modo più consistente alla normalità. Perchè non possiamo continuare a parlare solo di pazienti Covid.. ci sono tutti gli altri, che aspettano.

Siamo partiti da una dose e arrivati alla terza. A marzo scatta la quarta per gli ultrafragili. Secondo lei sarà estesa a tutti?

Non credo. Al momento ci stiamo organizzando per vaccinare i pazienti immunodepressi, gli oncologici, i trapiantati ecc. In tutto l’Alto Adige circa 5 mila persone. Ma non credo - guardando all’esperienza di Israele - che la quarta dose sarà estesa a tutti. Probabilmente solo a determinate categorie. Intanto a giorni è atteso Novavax, il vaccino proteico che può piacere ai no vax.

Ma è finita?

Spero tanto di sì.













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