Omicidio al metanolo, il veleno in una tisana
In sentenza i giudici confermano: la moglie (condannata all’ergastolo) pianificò il delitto per mesi
BOLZANO. Nessuna prova ma una montagna di indizi, alcuni assolutamente pesanti, con il risultato che il filo logico seguito dalla Procura della Repubblica ha trovato il pieno consenso nei giudici della Corte d’assise di Bolzano. Ecco come Jana Surkalova, la donna accusata di aver pianificato per mesi l’omicidio del marito a Laives facendogli ingerire una notevole quantità di metanolo, è stata condannata all’ergastolo. Ieri i giudici hanno depositato le motivazioni della sentenza. Si parte da una considerazione clinicamente inoppugnabile: l’operaio agricolo Josef Surkala fu stroncato (il 13 dicembre 2013) da una intossicazione acuta da metanolo con conseguente scompenso cardiaco ed edema polmonare. In sentenza i giudici sottolineano, nella ricostruzione dei mesi precedenti la tragedia, che l’imputata aveva fatto visita al marito a Laives due volte, in ottobre ed in novembre del 2013. In entrambe le occasioni l’uomo si sentì male, con sintomi tipici da avvelenamento da metanolo (pelle e occhi giallastri, problemi di vista e nausea). Josef Surkala si era poi ripreso sino alla terza, decisiva, visita della moglie (l’11 dicembre 2013) quando l’operaio agricolo tornò ad evidenziare un grave malore (questa volta in maniera più pesante, con perdita della vista e successivo decesso). L’indagine ha permesso di escludere che l’uomo possa aver assunto il metanolo accidentalmente. Inoltre è stato escluso che l’assunzione della dose letale sia avvenuta in concomitanza con il consumo di bevande alcoliche nel corso di una serata trascorsa con due colleghi a fine stagione. Sulla base delle testimonianze (la vittima non soffriva di depressioni) è stata anche esclusa l’ipotesi del suicidio, cioè dell’assunzione volontaria della sostanza letale da parte della vittima. Si è giunti così alla conclusione che la dose mortale di metanolo venne somministrata (probabilmente in una tisana) proprio dalla moglie che il giorno della sua partenza per l’Italia (in occasione dell’ultimo viaggio sino a Laives) aveva acquistato un grande quantitativo di metanolo (8 chili per 300 corone) poi rinvenuto in una tanica nella sua abitazione nella Repubblica ceca dopo la tragedia. L’imputata (che il giorno del suo viaggio sino a Laives si sobbarcò altri 120 chilometri per raggiungere il fornitore della sostanza) non sarebbe mai riuscita a fornire una spiegazione ragionevole della detenzione della sostanza. L’imputata, inoltre, avrebbe avuto più di un motivo per liberarsi di suo marito, tra cui una relazione sentimentale clandestina. Non solo. La donna (che non era in buoni rapporti col coniuge) avrebbe avuto anche problemi economici e non sarebbe stata al corrente che la polizza assicurativa sulla vita accesa dal marito (per un milione di corone) fosse scaduta. Al punto che quando l’uomo morì in ospedale a Bolzano chiese subito che la salma fosse trasportata in patria per essere cremata, facendo riferimento alla copertura delle spese proprio grazie all’assicurazione. (ma.be.)
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