il personaggio

Perasso, il carabiniere tenace lascia l’Alto Adige dopo 35 anni 

Ha catturato Max Leitner tre volte e Florian Egger due. Le indagini sui delitti Costa e Lamprecht e sui femminicidi. «Il rammarico più grande? Non aver risolto il caso Prantner». Con i Nas il dramma dei bimbi in coma per l’infezione “Seu”


Luca Fregona


BOLZANO. Il rammarico più grande? Non aver risolto il caso della scomparsa di Irida Prantner. Il corpo non si è mai trovato. Davide Perasso socchiude gli occhi: era l’estate del 2002. Irida Prantner, un marito, tre figli, una piccola impresa di pulizie, sparisce nel nulla dalla sua casa di via Rovigo alla vigilia di una crociera nel Mediterraneo. «La denuncia di scomparsa arrivò tre settimane dopo. Troppo tardi. In casi come questo sono fondamentali le prime 24 ore: il sopralluogo, i colloqui con i familiari, l’analisi delle agende, degli appunti, oggi dei cellulari... Eppure, resto convinto che siamo arrivati a tanto così dalla soluzione».

Il comandante Davide Perasso, 58 anni, nell’Arma da quando ne aveva venti, stringe il pollice all’indice. «Tanto così», ripete a denti stretti. Dal 2016 Perasso è il capo dei Nas di Trento. Lunedì, dopo trentacinque anni di servizio in regione, assumerà un nuovo incarico a Como. Probabilmente l’ultimo prima della pensione obbligatoria quando di anni ne compirà sessanta. Se ne va “dalla terra che mi ha dato tutto”, e a cui lui ha dato tutto. Carabiniere nell’anima. «Sono nato a Genova e cresciuto ad Asti - racconta - , dove mio padre medico era primario. Finito il liceo, dovevo partire per la naia. Ho fatto domanda nell’Arma». Scuola sottufficiali a Velletri e Firenze. «La prima assegnazione? Bressanone. Capii subito che quella sarebbe stata la mia vita e che non sarei mai tornato indietro». Uno stato di servizio impressionante. Nella città vescovile fino al 1997. Poi, in rapida successione: comandante della stazione di Chiusa; la Scuola Ufficiali a Roma; comandante del nucleo operativo e radiomobile di Bolzano; comandante della compagnia carabinieri di Brunico. Dal 2008 al 2016 a capo del nucleo investigativo di Bolzano. Dal 2016 comandante dei Nas di Trento. «È tutto passato in un lampo, non me ne sono neanche accorto». Trentacinque anni intensi, in strada, da investigatore vecchia maniera, uscito da un libro di James Ellroy. Un mastino che non molla mai, che non conosce orari, che può stare sveglio una settimana di fila. Anche fisicamente: un metro ottanta per novanta chili. Brusco ma con un inaspettato lato malinconico. Schivo, burbero, lontano dai riflettori, sempre attento alle vittime e ai fragili. Medaglia d’argento al valore civile per aver salvato dalle acque gelide dell’Isarco uno spacciatore che stava annegando davanti al ghetto del “Villaggio Pasquali”. Si era buttato per sfuggire all’arresto, ma non sapeva nuotare. La corrente se lo stava portando via. Era novembre e l’acqua era poco sopra lo zero. «Quella volta ho rischiato di rimanerci anch’io, il fiume era in piena», ricorda Perasso, che, tra le altre cose, è anche istruttore sub, paracadutista e specialista di immersioni sotto il ghiaccio. 

Uno dei ricordi che forse lo emoziona di più risale al luglio 2003, quando ha letteralmente preso per i capelli (“grazie al cielo aveva la coda di cavallo”), una ragazza di 18 anni che si stava buttando da un palazzo a Bolzano. «Aveva già scavalcato la ringhiera del terrazzo al settimo piano. L’ho afferrata un secondo prima che saltasse. L’abbiamo bloccata e portata al sicuro». 

Amante dei buoni libri, appassionato di storia e di montagna, Perasso ha quattro figli, tre maschi e una ragazza, dai sette ai 27 anni. Andrea sta per laurearsi in Scienze della comunicazione a Vienna. Riccardo Francesco ha seguito le sue orme nell’Arma: frequenta la Scuola allievi. Ilaria, la più grande, finito il liceo artistico a Ortisei, lavora a Bressanone. E poi c’è l’ultimo, Oceano Davide Ephraim, sette anni, che vive a Locarno con la madre. «Ma che io vedo ogni volta che posso».

Non è facile ripercorrere una carriera militare così lunga e variegata. «Non smetti mai di essere carabiniere neanche quando stai in spiaggia sotto l’ombrellone - dice - . È una dimensione totalizzante. Difficile da capire vista da fuori». 

Un carico emozionale duro da gestire: omicidi, violenze di ogni genere e grado, pedinamenti, notti insonni, interrogatori, arresti. Farabutti che la fanno franca. Farbutti che picchiano, violentano, sfregiano, spacciano, sfruttano. Tutto il male del mondo anche nel laccato Alto Adige con i gerani sul balcone. 

Le indagini

Prendi la voce “omicidi”. 

Perasso ha indagato su una lunga serie di delitti. La lista gela il sangue. Bastano un paio di date per capire quanto l’abisso sia così dannatamente vicino. 

21 marzo 1992, Millan (Bressanone). «Quella sera incrociai per strade Renate. Ci scambiammo un cenno di saluto». Lui carabiniere “noto a spacciatori e papponi”, lei ragazzina fragile di 19 anni “nota alle forze dell’ordine”. «Credo di essere stato tra gli ultimi a vederla ancora viva». Quella sera Renate Troger accetta di salire su una Seat Ibiza rossa che l’abborda in piazza Verdi a Bolzano. Il suo corpo viene ritrovato all’alba in un piazzale nei pressi di Campodazzo. Uccisa con 14 coltellate. Massacrata da Marco Bergamo. 

«Ho il suo viso davanti - dice Perasso -Inevitabile chiedersi: e se...». Se l’avessi fermata, se le avessi parlato, se fosse arrivata a Bolzano mezzora dopo...

26 novembre 1996, Gais, Val Pusteria. Ettore Aquila uccide Karl Lamprecht con una morsa da falegname all’interno del laboratorio per l’intaglio di statuine per presepi. Un omicidio orrendo. Un’indagine complessa, inquinata da voci, depistaggi, false piste in un ambiente dove i due erano molto conosciuti. «Una ferita profonda nella comunità locale». Per districarsi in un ginepraio del genere, dove ovunque ti giri, ti pungi, è importante «conoscere tutti, avere la fiducia di tutti, sapere vita morte e miracoli di tutti. Il carabiniere questo deve essere: un punto di riferimento che sa anche i nomi dei sassi». E, per farlo, studia, si informa, impara un’altra lingua con cui non è cresciuto (Perasso ha conseguito il patentino A). «Non ho mai avuto problemi di tipo “etnico” - dice con orgoglio - Mio figlio Riccardo è nei vigili del fuoco volontari. Gli ho insegnato a non avere pregiudizi di nessun tipo».

Gennaio 1997, il caso Dander. Un’altra di quelle storie che mettono in crisi il modello geranei-al-balcone. L’indagine è contorta ma la conclusione è devastante. A uccidere Enrico Costa, anziano ex edicolante miliardario di Bressanone, è stato il noto avvocato Alexander Dander. Il movente è economico. Costa lo aveva nominato erede universale. In cambio Dander avrebbe dovuto ospitarlo nella sua villa fino alla morte. Ma Costa si stava bruciando una fortuna immensa al gioco... La difesa sostenne che Costa era morto di cause naturali. Dander venne condannato in via definitiva a 17 anni. Dal 2011 è di nuovo libero.

13 marzo 2001, in un vecchio maso di via Francesco Baracca, alla periferia di Bolzano, viene ritrovato il corpo di Michela De Villa, 33 anni, cameriera di Costalta di San Pietro di Cadore. Strangolata, fatta a pezzi e bruciata. «Abbiamo lavorato per tre giorni di seguito. Settantadue ore senza dormire e mangiare. È lì che ti giochi tutto. Un errore di valutazione lo paghi per l'eternità». In carcere finisce Manfred Michaeler, 51 anni, di Bressanone. Viene condannato a 18 anni. Ne sconta diciassette. Dal 2017 è di nuovo libero. 

Perasso fa una pausa nella cronologia: «L’altro giorno: Celine, massacrata a Silandro. Sono passati vent’anni è non è cambiato niente. Anzi, la violenza sulle donne è aumentata in modo esponenziale. Questa cosa non riesco ad accettarla. I colleghi di Merano sono stati bravissimi a prenderlo al volo». Uno degli ultimi casi a cui ha lavorato quando era ancora a capo del nucleo investigativo di Bolzano è l’omicidio di Alessandro Heuschreck, ucciso dalla compagna Ester Quici a coltellate nella loro casa di corso Libertà il 21 marzo 2015. Quici è stata condannata a nove anni per “preterintenzionale” al termine di un travagliato iter processuale finito in cassazione.

Le ragazzine vendute

Il lato oscuro però non è solo il sangue dei delitti. C’è molto altro: la droga, la prostituzione, il racket della ragazze schiave portate dell’Albania e dalla Romania, obbligate a vendersi nelle strade di Bolzano e Trento, gli “specialisti” arrivati da fuori per svaligiare case e negozi. Impossibile elencare tutte le operazioni, gli arresti, le bande smantellate. «Quando nel 2015 abbiamo arrestato i romeni in piazza Stazione, abbiamo trovato due ragazzine di sedici anni, le facevano prostituire, le facevano dormire nei boschi del Virgolo tenute peggio delle bestie, le picchiavano se si rifiutavano. Non sapevamo letteralmente a chi affidarle, a chi rivolgerci per assisterle. Oggi, invece, c’è una rete diffusa. Le case per le donne, i centri anti-violenza. Si è fatto molto». 

Il re delle evasioni

Perasso è famoso per la caccia a Max Leitner, il rapinatore che in Alto Adige qualcuno paragona a Robin Hood, ma che di sicuro non rubava ai ricchi per dare ai poveri (di recente è stato al centro di un episodio oscuro: alcuni colpi di fucile sparati contro una prostituta a Bolzano Sud). Leitner è evaso cinque volte. Perasso lo ha riacciuffato tre: nel 1992, nel 2002 in un campo di girasoli, e nel 2010 con i Gis (il Gruppo d’intervento speciale dell’Arma) a Vandoies. «Ho semplicemente fatto il mio lavoro - taglia corto - Se Max fosse stato più furbo, se la sarebbe cavata con meno anni in galera. Invece, con tutto quello che ha combinato, ne ha fatti di più di un assassino reo confesso». Né simpatia alla “guardie e ladri”, né accanimento. Eppure qualcuno ci ha provato a buttarla sul karabiniere italiano che ce l’ha con il “Robin Hood” sudtirolese, ma la cosa si è smorzata da sola. Quando dai la caccia ai cattivi e per farlo rischi anche la pelle, le parole si spengono nel vento freddo dei boschi di Elvas, dove Leitner contava su amicizie e protezione. 

A proposito di evasioni. Fu sempre Perasso a rimettere le manette ai polsi di Florian Egger, “Il rambo di Lauregno” , fuggito nel 2009 dal regime di semilibertà. Era un punto d’onore: il 12 giugno 1997 Egger aveva ucciso il carabiniere Candeloro Zamperini durante una rapina finita male alla Cassa Rurale di Merano. Era stato Perasso insieme ai suoi uomini a catturarlo subito dopo l’omicidio rintanato tra le baite della val d’Ultimo.

“Il rambo di Lauregno, “Il re delle evasioni”, una mitizzazione che lo infastidisce. «Soprannomi che strizzano l’occhio a semplici criminali». 

Il dolore degli altri

La cosa più difficile del suo mestiere, dice «è trovarsi di fronte al dolore degli altri». Comunicare la morte di un figlio, assistere una donna vittima di violenza, strappare a un giro di droga e prostituzione una ragazzina. I bambini, poi. I bambini sono il fantasma che perseguita il comandante Davide Perasso. Con i Nas gli è successo più volte. Almeno tre casi gravissimi da “Seu”, un’infezione intestinale dovuta all’assunzione di formaggi avariati, contaminati con il batterio “Escherichia coli”. L’ultimo, di recente, in Trentino: una piccola di quattro anni in coma. «La stessa identica cosa era successa nel 2017: un bimbo, che all’epoca aveva quattro anni, aveva mangiato del formaggio che i genitori avevano acquistato al caseificio. È tuttora in stato neurovegetativo. Non posso dimenticare quel faccino in rianimazione, i visi distrutti dei genitori accanto...».

Così come non riesce a togliersi dalla testa Sofia Zago, anche lei di quattro anni, morta il 4 settembre del 2017 per aver contratto la malaria all’ospedale Santa Chiara di Trento.

«Un’indagine difficile e molto dolorosa».

Ma gli anni al Nas sono stato anche quelli del Covid, della monumentale inchiesta sulle mascherine cinesi non a norma con il sequestro nei magazzini di Bolzano Sud e l’iscrizione sul registro degli indagati dei vertici dell’Asl. Sempre in era Covid, l’indagine che ha portato al ritiro delle mascherine U Mask a livello nazionale. Erano le mascherine, utilizzate anche nella Formula 1, che promettevano “fino a 200 ore di respirazione effettiva", ma non era vero. Le aveva certificato un laboratorio abusivo di Bolzano... Ci vorrebbe un libro per raccontare i 35 anni di servizio del comandante Davide Perasso nella nostra regione. Chissà, magari tra qualche anno. «Ringrazio - si schermisce lui - tutti coloro con cui ho lavorato: i magistrati, i superiori e i colleghi che mi hanno sopportato tutti questi anni». E noi ringraziamo lui. Questa resta casa sua. 













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