Phil: «Il passato non esiste, vivo l’attimo» 

La filosofia dell’alpinista bolzanino che tre anni fa era sempre sulle Jorasses ma sulla via dei Polacchi 



BOLZANO. «Cogliere e saper vivere l’attimo»: questa era un po’ la filosofia di Philipp “Phil” Angelo a cui piaceva scalare in compagnia, ma più di tutto amava scalare da solo. Che significa senza assicurazione. Se voli non hai scampo, perché non ci sarà la corda di un compagno a bloccare la caduta.

Questo stile di arrampicata che era anche il suo stile di vita, emerge in quello che ogni tanto scriveva al termine di un’ascensione quando, esausto, tornava al rifugio.

Così raccontava il 15 settembre del 2014 dopo una scalata sempre sulle Grandes Jorassses, un gruppo di cime granitiche che si trovano nella parte settentrionale del massiccio del Monte Bianco, sulla linea di frontiera tra l'Italia e la Francia, lungo la via dei polacchi, mentre lunedì, quando è precipitato, stava salendo sulla via Cassin. Anche in quell’occasione era solo.

«Sono le quattro e cinque quando parto dal rifugio Leschaux. Sono da solo e non ci sono luci lungo il ghiacciaio, solo pochissime cordate, una sulla Colton, una sulla via degli Sloveni, due su Reve Éfémère. Per incominciare bene mi sono già perso un attimo al buio, tra i seracchi. Alle 6.45 attacco la via dei Polacchi. Il passato non esiste - vivere l'attimo, è questa l'essenza di una salita in questo stile. Lungo la salita due volte mi tocca disarrampicare per tornare sul tracciato (quasi) ideale. Nella parte centrale, quella più ripida, il ghiaccio sembra aver risentito del riscaldamento diurno degli ultimi giorni e dei passaggi, bisogna arrampicare con cautela. Poi alle 9.50 pit-stop sulla cresta a fine via e dopo 20 minuti continuo lungo l'aerea cresta verso il Canzio, che raggiungo alle 14 dopo vari traversi, doppie e saliscendi. Fin qui tutto bene, la stanchezza si fa sentire ma il Torino è ancora lontano.

Una breve pausa e poi mi aspetta la parte più impegnativa della cresta due tiri su roccia con neve per arrivare in Cima alla Calotte de Rochefort. Fino ad ora non mi sono mai auto-assicurato su una via, adesso però mi sembra la scelta giusta. Forse non è il momento ideale per fare la prima esperienza, ma quando mai lo è? Poi mi aspetta quel "tiretto" gradato 5c che mi fa perdere un po' di tempo. Lo faccio tirando chiodi e passando qualche attimo di tensione. Ora bisogna solo continuare e non perdere la concentrazione. Il Dente del Gigante è sempre lì, si fa desiderare. Incomincio a pensare al poi. L'ultima parte di camminata sul ghiacciaio la faccio con la frontale e alle 20.45 arrivo al Torino. Sono sfatto, ma soddisfatto, quasi troppo stanco per dormire beatamente ma contento di essere riuscito a realizzare un mio piccolo sogno, di aver colto e vissuto l’attimo».













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