Podini: Bolzano può avere più centri commerciali

L’imprenditore : «Non è scritto nella Bibbia che debba esserci solo il Twenty Le domeniche? Ne bastano 20 aperte. Pronto a fare il ponte sull’Isarco»


di Paolo Campostrini


BOLZANO. Il segno dei tempi che cambiano è Podini che apre sulle domeniche aperte: «Sono un servizio, non una crociata: ne possono bastare 20 all'anno».

E il segno della città che potrebbe cambiare, è la nuova idea di centro commerciale: «Bolzano ne ha tre “naturali“: via Milano-Torino, corso Libertà e il centro storico. Il centro commerciale nuovo non deve fare altro che integrarsi. Le guerre sono il passato».

Il futuro è invece la connessione. Forse perchè il presente è disconnesso: i consumi (e i consumatori) diminuiscono e le offerte rischiano di sovrapporsi col risultato di favorire la jungla degli orari e dei ribassi. E' la crisi, bellezza.

Ma anche la crisi commerciale potrebbe essere gestita in un quadro di riconciliazione normativa. E di un patto che, tra i talebani di una tradizione distributiva che ci fa restare fuori dal mondo e quelli della modernizzazione a tappe forzate, trovi la via mediana del servizio al consumatore.

Giovanni Podini questa guerra la conosce. C'è dentro fino al collo col suo Twenty.

La Curia dice: di festa ci si riposa. E i sindacati: la domenica non si lavora. Un bel fronte per chi deve vendere.

«E io dico: basta fare pugilato. Non serve tenere aperto tutte le domeniche dell'anno. Ne basterebbero 20-25. E non sarebbero una istigazione al consumo ma semplicemente un servizio. Chi lavora da lunedì a sabato ne ha diritto».

E il diritto al riposo?

«E perchè solo di domenica? E non di giovedì o venerdì? Sono strani i sindacati. Nessuno pensa ai baristi, ai cuochi, ai camerieri, ai giornalisti che lavorano la festa. I commessi non sono marziani. I turni sono stati inventati per tutti, così come la rotazione dei riposi. Un negozio è come un'edicola, offre servizi. E svago alle famiglie».

I centri commerciali sono i principali indiziati della morte dei negozi...

«No, sono complementari. Entrano in un nuovo “ritmo” degli acquisti. Stimolano la concorrenza e il miglioramento dell'offerta. E' la crisi che fa chiudere i negozi, non il Twenty o gli altri megastore. I negozi in centro città fanno un altro lavoro».

E che lavoro fa il Twenty?

«Un lavoro nuovo. Una volta si pensava ai centri commerciali come a grandi parcheggi periferici cementificati, invasi da suv e lontano dalle case. Oggi no. Il Twenty è l'esempio di un centro commerciale integrato: è nella prima fascia urbana ed è raggiungibile con la mobilità soft».

Cioè?

«In bici. Dal Duomo ci si arriva in ciclabile in pochi minuti. Già adesso il 30% della clientela lo raggiunge lasciando la macchina a casa. Questo significa non spersonalizzare la rete urbana, tenere i contatti con i quartieri, collegare rione a rione e non impedire sinergie con i centri naturali di città».

E' per questo che la proposta Twenty è realtà e le altre sono nel cassetto?

«Anche. Noi siamo stati in grado di rispondere alle specifiche della legge provinciale e del Pum (piano urbanistico della mobilità): collocazione nella prima fascia urbana, servizio di prossimità, integrazione con il tessuto urbano, mobilità sostenibile (la bici) e non eccessiva distanza dalla città».

E gli altri?

«Noi siamo a un chilometro, altri sarebbero a quattro».

Gli altri dicono che la fortuna del Twenty è la sua amicizia con l'assessore Thomas Widmann...

«Gli amici non possono cambiare le leggi. E il piano provinciale per le strutture di vendita (2009) e il Pum (2010) li possono leggere tutti».

Gli altri dicono: siamo meglio noi che abbiamo i terreni più in periferia.

«I terreni più in periferia li ho anch'io. Come la Fercam. Se la legge cambiava, cambiavo anch'io e mi rimettevo in corsa. Il problema è che le norme chiedevano più prossimità».

E per Aspiag, Centrum, via Avogadro che sono più vicini?

«Stanno giocando le loro carte. Io sono d'accordo con Paul Klotz dell'Aspiag. Non è scritto nella Bibbia che ci debba essere un solo centro provinciale. Bolzano può sostenere più centri. Basta che si integrino facendosi solo guerra commerciale. Senza cannibalizzarsi».

L'altro nodo è urbanistico. Che ruolo disegnare per via Galilei e tutta la prima parte della Zona?

«Penso che si debbia ragionare con la pianta dell'intera città davanti. Il Twenty ha mostrato come si possa ridare un ruolo a una zona mista ma in sostanza solo di collegamento. Guardiamo a Oltrisarco: il nuovo snodo commerciale su via Galilei l'ha subito reinnestato nei flussi della città. Non è più isolato».

E così si dovrebbe ragionare per la altre aree intorno

Il Twenty raddoppia?

«Abbiamo pronti altri 10 mila metri. Fino a un massimo di 80 negozi. Via Galilei sarebbe ripulita dalle baracche. Aspettiamo solo la variante al piano e la concessione edilizia».

E il ponte sospeso?

«Bello. E' in linea con il commercio a mobilità soft. Si poteva fare un passaggio sotterraneo ma 60 metri al buio non piacevano a nessuno. E' previsto nel Puc da 15 anni. C'è il sì del magistrato delle acque e dell'A22. Contiamo i mesi».













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