Pregliasco: «Con numeri così alti il lockdown era inevitabile» 

L’intervista. Il noto virologo: «Il dato sui contagi è elevato, e non solo perché la Asl effettua molti tamponi» Sulla via altoatesina: «Non voglio essere né troppo generoso, né troppo severo». La strigliata arriva sui vaccini


Francesca Gonzato


BOLZANO. Fabrizio Pregliasco scorre i dati quotidiani dell’emergenza Covid-19 a Bolzano. «Alti, siete alti», commenta. Il noto virologo (direttore sanitario dell’Irccs Istituto ortopedico Galeazzi di Milano) si muove tra le tabelle altoatesine come a casa. Ed effettivamente ha una residenza per le vacanze a Sarentino. L’attuale lockdown deciso dalla Provincia era inevitabile, dice. Ne ha parlato direttamente con il presidente Arno Kompatscher nello speciale trasmesso ieri sera da Alto Adige Tv (tra gli ospiti il direttore dell’Alto Adige Alberto Faustini). La maggior parte delle regioni italiane si trovano in zona gialla, mentre gli altoatesini sono tornati in clausura fino al 28 febbraio. Sempre più voci decretano «questo è il fallimento della via altoatesina». È davvero così? Abbiamo chiesto il parere di Pregliasco.

Professor Pregliasco, l’ultimo bollettino della Asl riferisce di 789 casi di positività, tra tamponi Pcr e antigenici. Come giudica questa incidenza?

Siete in una fase stabile, con tendenza alla crescita. Di questa malattia vediamo la punta dell’iceberg, i dati sono sottostimati. Ora l’Alto Adige si trova in una via di mezzo tra il lockdown “implacabile” di marzo-aprile e la salvaguardia delle attività economiche. Non siamo riusciti a frenare la malattia attraverso il tracciamento, parlo in generale, non solo della provincia di Bolzano. Ma riusciamo a regolare abbastanza la diffusione attraverso la alternanza di aperture e chiusure, immaginiamo che sia un rubinetto che miscela acqua calda e fredda. A livello nazionale i risultati sono discreti, facendo una comparazione con altri Stati europei. Pensiamo al vicino Tirolo. Con tale diffusione del virus ogni contatto umano può essere a rischio.

Un anno di aperture e chiusure sta mettendo in ginocchio le aziende. A livello personale, le persone fanno sempre più fatica a sacrificare socialità e affetti.

Certo. E qualche disposizione può sembrare ridicola. Le misure cercano di costringerci a ridurre al minimo i contatti. Non dobbiamo fare come i bambini, il cui impulso è disubbidire a prescindere.

La via altoatesina è sotto accusa. Si è puntato sugli screening di massa, ma i contagi restano alti, tanto che siamo di nuovo in lockdown, mentre il resto di Italia inizia a riaprire. Cosa ne pensa?

Siamo tutti a rischio. Le altre regioni hanno chiuso prima, ora torna a chiudere la provincia di Bolzano. Non è facile comprendere i risultati a breve termine, ognuno ha cercato delle mediazioni accettabili. Non voglio essere né troppo generoso né severo sulla via altoatesina. Nessuno si è trovato confezionato il manuale di gestione della pandemia. Credo che Kompatscher stesso potrebbe ammettere che si naviga a vista. Sono severo su un altro aspetto.

Quale?

Mi preoccupa l’orientamento verso la vaccinazione. Ma è una storia vecchia: in Alto Adige ci sono bellissimi ambulatori del Servizio di igiene e sanità pubblica, ma non bambini a sufficienza al loro interno.

Asl e giunta sostengono che emergono molti positivi perché effettuiamo molti tamponi, in proporzione più che nel resto d’Italia.

Eh insomma...

Prego?

Il numero dei positivi è elevato. E sono molti anche 40 pazienti in terapia intensiva. L’esperienza degli screening è interessante, pur tenendo conto del rischio dei falsi negativi.

Sul rispetto delle regole si è creato un divario tra città e periferia. I sindaci parlano di «scene allucinanti». Lei vive in Lombardia ed è in contatto con colleghi di tutta Italia. È comune la violazione delle norme di sicurezza nelle vallate?

Ho la sensazione che sia una realtà particolarmente forte in Alto Adige.

Quale consiglio si sentirebbe di dare a chi gestisce l’emergenza Coronavirus in Alto Adige?

Spingere al massimo sui vaccini. Considerati i numeri, questo lockdown lo ritengo necessario, eventualmente con codici Ateco più stretti sul commercio.

C’è ancora chi dice «è solo un’influenza».

È la sua forza. Si diffonde moltissimo, uccide i più fragili e blocca i più giovani per venti giorni o più. E più si moltiplica più aumentano le vittime.

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