Prodi: «Siete sotto attacco, allora siate da esempio»

L’ex premier: le autonomie devono dimostrare di saper gestire bene le risorse


di ALBERTO FAUSTINI


BOLZANO. «Sto benissimo. Ma sa cosa vuol dire benissimo? Benissimo». Inizia così, la conversazione con il presidente Romano Prodi: il professore ha da poco terminato la sua corsa mattutina («Otto chilometri, perché d’inverno mi piace di più correre; poi tornerò in sella alla mia bici») e s’appresta a partire per l’Africa. Tornerà giusto in tempo per fare un salto a Trento, città con la quale ha un legame antico: iniziò ad insegnare lì e collaborò con l’allora presidente della Provincia Bruno Kessler alla stesura di un Piano urbanistico che ridisegnò, da ogni punto di vista, il territorio.

Professor Prodi, martedì all’Università di Trento parlerà di Mondo globalizzato. E risponderà alla domanda che in molti si pongono: c’è spazio per l’Italia, in questo mondo globalizzato? Incontrerà anche molti giovani. Partiamo da loro.

Il mio compito è quello di descrivere i cambiamenti che ci sono nel mondo, tentando ci capire come dobbiamo cambiare noi.

Prima regola?

Sprovincializzarsi. Specializzarsi il più possibile. Ma non nelle cose generiche. Nei ruoli oggi necessari. Serve una preparazione tecnica molto intensa. E si deve considerare l’Europa come il quartiere nel quale si vive.

Casa dolce casa addio?

Non si può cercare lavoro a casa. Cui vuole fermentazione. Come dalle altre parti. A cominciare dagli Stati Uniti: lì la ripresa economica è fatta sempre di più da eccellenze, da uomini e donne di elevata preparazione e, soprattutto, da persone che arrivano da ogni parte del mondo.

Basta essere cittadini del mondo?

No. Ai giovani ricorderò anche che in questa realtà ci vuole una profonda convinzione etica. Vanno conservati i valori di coerenza e di pulizia che un tempo erano il vanto della società in cui viviamo. Il discorso glocal, globale e locale non è solo nella geografia, ma anche nella propria anima: globali con i cervelli, ma locali con il cuore e con l’anima.

Sulla scena del mondo ne incontra molti di studenti così? Anche italiani?

Tantissimi. Quando sono andato a Parigi per consegnare i diplomi alla facoltà di scienze politiche, alcuni ragazzi italiani mi hanno invitato ad un piccolo party. E da loro ho scoperto che un terzo dei vincitori degli ultimi due grandi concorsi per ricercatori accademici organizzato dal governo francese era italiano.

Che giovani incontra, nelle aule di tutto il mondo?

Ammetto che insegno in scuole d’élite, ma purtroppo devo dire che sia in Cina che negli Stati Uniti vedo dei ragazzi che si pensano in grado di fare tutto. Pensano cioè di avere il mondo davanti a sè. Bisogna mettere in grado anche i nostri ragazzi di ragionare allo stesso modo.

Tutta colpa dei genitori italiani?

Abbiamo tutti una responsabilità. Genitori troppo protettivi e una società che tende più a conservare che a creare.

I suoi figli ormai sono grandi. Ma che consiglio dà ai suoi nipoti?

Devono avere radici forti e una volta fatte le radici, vanno spinti a correre per il mondo.

C’è un momento giusto?

Sono prudente. La ricetta dipende dal livello di maturità dei singoli. Ma penso che l’ideale sia che vadano a specializzarsi all’estero quando hanno terminato un arco di studi in Italia. Meglio insomma se sono già laureati, magari avendo fatto dei periodi di Erasmus che preparano ai passi successivi.

Siamo miglior di quel che si dice.

Naturalmente. Questi sentimenti da un lato mi fanno sperare, dall’altro mi rendono molto triste: non voglio vivere in un Paese dal quale le persone di alto livello se ne vanno e nessuna eccellenza arriva; in un Paese, insomma, con un’emigrazione a senso unico.

E Trento e Bolzano hanno queste capacità?

Sotto questo aspetto sono meglio del resto del Paese.

Perché?

Per le risorse che hanno. Ma anche perché sono un ponte culturale, perché attraggono ancora intellettuali dall’esterno. Ma è ancora insufficiente. Anche da voi. Mi piacerebbe che in un futuro questo fosse uno degli impegni prioritari delle due Province: dimostrare all’Italia che siamo capaci di attrarre energie dall’esterno.

Ma oggi le Province autonome sono antipatiche al resto del Paese.

Il tema dell’antipatia nei confronti di queste due Province c’è. E non mi stupisce che sia cresciuto in un tempo di crisi, in cui la mancanza di risorse si fa sentite in modo particolare.

Soluzioni possibili?

È importante che Trento e Bolzano usino parte delle risorse aggiuntive che la Costituzione loro riconosce per essere d’esempio al Paese. Non ci reggiamo sull’omogeneizzazione totale. E, data anche l’appetibilità di queste due splendide città, Trento e Bolzano devono svolgere per l’Italia il compito che ha svolto Grenoble per la Francia: attrarre giovani scienziati e ricercatori che vanno volentieri in città come queste se vi trovano l’eccellenza di cui vanno in cerca.

Cito il titolo della sua conferenza: c’è spazio per l’Italia nel mondo globalizzato?

Per l’Italia da sola no. Nemmeno per la Germania, da sola. Solo l’Europa ce la può fare. Ma ho paura che molti tedeschi pensino di poter svolgere un ruolo senza l’Europa. Se la Germania di oggi ha assunto una funzione così importante e ha una bilancia commerciale così attiva è certo per le sue grandi virtù, ma anche perché l’Europa intera l’ha aiutata nel suo processo di riunificazione e perché oggi l’economia tedesca è profondamente integrata con quella europea. Di fronte al mondo, tutti i Paesi europei sono piccoli.

Perché fatichiamo così tanto a capirlo?

Perché è la stessa Europa a sottovalutarsi. Le sue divisioni la stanno distruggendo. L’Europa è ancora il numero uno nell’economia mondiale (se vogliamo, a pari con gli Stati Uniti). È il numero uno nell’industria ed è il numero uno nelle esportazioni. Ma non contiamo nulla nella politica internazionale. Perché abbiamo compiuto il nostro processo di armonizzazione solo a metà.

Serve un vero governo europeo o una testa nuova?

Giro la sua domanda: bisogna cambiar testa per avere un forte governo europeo. Mancano i leader che io fortunatamente avevo come controparte quand’ero presidente della commissione. Kohl, ad esempio, vedeva il futuro della Germania solo in un quadro europeo. Non vedo la stesso atteggiamento oggi. Ma non vale solo per la Germania.

Perché?

Perché ogni leader guarda non al futuro lontano, ma alle prossime elezioni.

Come diceva Degasperi: si pensa alle prossime elezioni anziché alle prossime generazioni...

Per dire: anche il caso greco era facilissimo da risolvere: bastava non aspettare le elezioni del Nordrhein-Westfalen. Dopo quel voto, il costo della soluzione s’era moltiplicato per dieci.

Domanda più leggera. Ne approfitterà per farsi una sciata da queste parti?

Volevo venire a sciare da voi proprio in questi giorni, ma mi hanno messo in agenda uno degli ultimi incontri per la mia missione africana. Ma ho bloccato l’agenda.

S’è già messo d’accordo anche con Moser per una pedalata?

Le pedalate fanno parte della mia vita, ma non d’inverno.













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