il caso

Pronto soccorso intasato: fuga da Bolzano a Merano

Il racconto di una serata in ospedale: ore in attesa (inutilmente) di un medico. A mezzanotte via dal San Maurizio per il Tappeiner, e lì è un altro mondo


di Paolo Campostrini


BOLZANO. Bisogna toccare per credere. In questo caso avere bisogno di quattro punti di sutura sulla fronte per credere a quello che finora avevo soltanto letto sul Pronto soccorso del San Maurizio. Nel corso di una notte sono passato da un luogo in cui le persone stavano soffrendo più che per il dolore fisico per la mancanza di dignità (Bolzano) a un altro dove della clinica svizzera mancavano solo le scritte in francese (l'ospedale di Merano). C'erano una quarantina di pazienti in attesa quando sono arrivato al Pronto soccorso verso le 19 e una quarantina ne ho lasciati quando, a mezzanotte, una persona dotata di buon intuito mi ha fatto salire in macchina per portarmi al Tappeiner di Merano.

Mi sono deciso perché le figlie di una signora quasi ottantenne che provava a tenere insieme quanto restava del suo essere donna pur essendo su una barella in mezzo a torme di sconosciuti, mi hanno confessato che la loro mamma era lì dalle 14.30. Ieri ho saputo che la signora dopo mezzanotte è tornata a casa perché le avevano comunicato che avrebbe dovuto aspettare minimo fino alle 4 della mattina. E aveva un “codice giallo” come il mio. So anche che la signora è tornata al Pronto soccorso ieri mattina alle 8 ed è stata visitata intorno a mezzogiorno. Ma questa non è una inchiesta. Quelle le fa da anni l'Alto Adige.

Questo è solo un diario minimo. Una testimonianza successiva al poco o nulla che mi è capitato (una comica caduta in bici). E che mi ha fatto superare un confine che non sapevo esistesse. A Merano sono entrato in Alto Adige, quello dell'autonomia, delle cose che gli altri ci invidiano. A Bolzano non sapevo più dov'ero. Uno dice: ma Bolzano ha centomila abitanti. Sì, ma non un milione. L'altro dice: ma Merano ha 40mila abitanti. Sì, ma non quattromila. Se al San Maurizio, in un venerdì pomeriggio qualsiasi uno trova 40 persone, a Merano, proporzionalmente, dovrà trovarne almeno 15 in paziente attesa. Invece no: nessuno. L'inferno e il paradiso.

Ma mi limito a raccontare.

Alle 18.15 sono caduto in bici. Botta in testa e taglio sopra l'occhio sinistro. Avevo solo le mani piene di sangue. Due ragazzi che gentilmente si sono fermati mi dicono: “creda a me, servono i punti”. 118, ambulanza, l'infermiere che mi tampona. Entro al Pronto soccorso e camminando tra lettini sparsi e sguardi tesi, parlo con l'accettazione. Infermieri indaffarati ma professionali. Intorno a me, un porto di mare. Gente che entra e esce, chi appare sanissimo e dorme sulle barelle. Nessuna protezione della privacy. Quel minimo di decente logistica che prova a mettere un pietoso divisorio mobile tra noi e i poveri cristi stesi su un letto, anziani, gli sguardi persi. Il cellulare non va. Per chiamare si deve uscire all'aperto: una tacca arriva. Chi non cammina sta dov'è e spera che arrivino i parenti.

Alle 22 chiedo: novità? Risposta: a naso ancora tre prima di lei. All’arrivo mi hanno dato il “codice giallo”. Vuol dire "mediamente critico, presenza rischi di peggioramento". Dopo quattro ore dal trauma la ferita non richiusa potrebbe infettarsi (mi spiegherà poi il medico meranese...). Davanti a me solo il "rosso" e l'"arancione". Nessun rosso. Un paio di arancioni. Io nella marea dei "gialli". I "verdi" poco critici ( ma magari sofferenti) e i "blu" non critici.

Quasi a mezzanotte via, a Merano. Al Tappeiner le porte sono automatiche. Un soffio. Sala d'attesa vuota. Mi chiedo: ma è chiuso? No, semplicemente il lavoro è stato smaltito. A occhio ci saranno molte ma molte sedie fisse in più rispetto al Pronto soccorso del San Maurizio. Lì la gente si strappava le barelle di mano una volta occupate tutte le (poche) poltroncine. Dentro al Tappeiner suono un campanello per entrare al Pronto soccorso. Appare d'incanto un'infermiera.

Le dico che arrivo da Bolzano. Ha l'aria di chi ne ha visti tanti come me. Uno sta uscendo ed arriva da Bolzano. Mi dice: "ero al San Maurizio sono venuto via sfinito dopo ore di attesa, qui un’altra vita”. Consegno la tessera sanitaria, due minuti e mi indirizzano alla porta numero 5. Busso, sono solo. Apre un dottore. "Mi scusi, attenda solo un minuto" e richiude. Passa sul serio un minuto e riappare. Gli do la mano, istintivamente. Forse perché quello mi sembra un posto dove possono finalmente tornare le buone maniere. Si presenta: Fortunato Altomonte. Ha un bell'accento centroitaliano. Mi chiede come e cosa. Soprattutto da quanto tempo ho la ferita aperta, dalle 18 e 30... Mi dice: "Non voglio allarmarla ma quattro ore sono il limite. Mettere punti dopo può crearle dei problemi...". Dopo, mi prescriverà degli antibiotici. In tre minuti mi mette quattro punti, "proviamo senza anestesia", proviamo.

Una infermiera tiene la lampada e poi mi fa l'antitetanica. Un soffio e via. "Male?". No grazie. Gli dico che arrivo da Bolzano. Mi legge con calma le istruzioni per "pazienti affetti da trauma cranico". Ascolto in silenzio. Esco dal Tappeiner e imbocco con chi guida le gallerie che mi portano alla superstrada. Ripenso agli articoli del giornale. Le inchieste, le polemiche, le risposte, i piani sanitari. Ricordo di aver letto che nel Meranese c'è un buon livello di medicina di base, il “Territorio” che a Bolzano non si vede. Forse è questo. Forse no. Non è che i meranesi siano più sani e i bolzanini più disposti ad ammalarsi? No, è da ridere. Merano ha più anziani di tutte le altre città altoatesine. Che siano più organizzati? Non so rispondere. Più bravi? Ma non credo. I medici a Bolzano dovrebbero esserlo molto. Io non lo so, l'altra sera non ne ho visto uno. Ne ho conosciuto invece uno di Merano. A quasi 30 chilometri da casa mia. Ma era lì che mi sono sentito finalmente a casa. Grazie.













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