Questione orso: pericolosità smentita dallo studio trentino

Gli scienziati: «L’animale davanti all’uomo tende a fuggire». Quattro anni di ricerche e 256 interviste in 400 pagine


di Luca Pianesi


CORTACCIA. Mentre a Cortaccia, Magrè, Termeno e Appiano sindaci e comunità si interrogano su come eliminare il problema legato alla presenza dell’orso sul loro territorio, dal Parco Adamello Brenta della Provincia di Trento arriva un prezioso studio sulle abitudini del plantigrado che smentisce la sua pericolosità. L’orso bruno, si può leggere nelle oltre 400 pagine della ricerca, non ha alcun impulso ad attaccare l'uomo e anzi la sua reazione, in caso d’incontro con un essere umano, si riduce quasi sempre a una fuga precipitosa o a un’indifferente proseguire delle sue attività quotidiane.

L'indagine, durata più di 4 anni, parte dalle testimonianze di 256 persone che hanno avuto un incontro ravvicinato con il plantigrado. Ebbene la reazione prevalente dell’orso, si legge nello studio, è stata quella di allontanarsi dall’avvistatore (è stato rilevato nel 60% degli incontri). In un terzo degli incontri (92 casi, pari al 36% del campione complessivo) l’orso è rimasto sul posto, atteggiamento che i ricercatori ricollegano alla percezione di non pericolosità della situazione, alla necessità di difendere una risorsa (come cibo o cuccioli) o semplicemente all’essere stato “sorpreso”. In nessun caso, comunque, l’animale si è mostrato aggressivo e nemmeno spaventato dalla presenza dell’uomo, a prescindere dal suo comportamento e dal rumore prodotto. A meno che questo non sia per lui molto fastidioso: urla o risate fragorose, infatti, potrebbero essere registrate come rischio di attacco nemico.

Curiosa anche la reazione all’incontro con un uomo e il suo cane: si riducono le percentuali di fuga dell’orso rispetto a quelle dell’incontro con il solo essere umano. La spiegazione, per i ricercatori è nascosta negli odori: i cani sarebbero percepiti a distanza maggiore dal plantigrado e ciò gli permetterebbe di portarsi prima a distanza di “sicurezza” e di avere sotto maggiore controllo la situazione.

La ricerca prosegue quindi con un’analisi a tutto tondo delle abitudini dell’animale e ragiona anche sulle sue strategie di svernamento e sul suo rapporto con gli ambienti “colonizzati” dall’uomo. Proprio leggendo questa parte dello studio risulta evidente che territori come quelli di Magrè, Termeno, Cortaccia e Appiano, risultano ad alto potenziale di tensione.

«Gli orsi - si legge nel testo - sono predatori opportunisti e predano pecore, polli, galline e tacchini. E quando predano le pecore, può avvenire che uccidano più capi durante un singolo episodio». Esattamente com’è accaduto a Sella di Termeno a fine dicembre e a Cortaccia a metà novembre. «L’apicoltura - prosegue la ricerca - può attrarre gli orsi fra le fattorie e le aree di attività umana e i plantigradi spesso danneggiano gli apiari tentando di prendere il miele». E questo è quanto è capitato a Favogna prima e ad Appiano poi.

Ebbene la ricerca ammette che per allevatori e apicoltori il rapporto con il plantigrado è certamente conflittuale e spesso si risolve a danno di quest’ultimo, che viene allontanato o, peggio, ucciso. Ma nessun pericolo esiste per l’incolumità dell’uomo. Abitanti e turisti possono passeggiare tranquillamente tra i boschi. Parola d’esperti.

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