Sei anni fa la tragedia del treno della Venosta

Il 12 aprile 2010 a Laces morirono nove persone ed altre 27 rimasero ferite Armin Stecher perse la moglie Michaela: sorpreso dalla sentenza di assoluzione


di Ezio Danieli


MERANO/LACES. La sciagura del treno della Venosta (travolto da una frana il 12 aprile 2010, quando nel convoglio morirono 9 persone ed altri 27 passeggeri rimasero feriti) non ha un responsabile penale. Anche il pubblico ministero Alex Bisignano ha chiesto l'assoluzione piena per tutti gli imputati. Il Tribunale di Bolzano lo scorso novembre, ha assolto tutti per non aver commesso il fatto.

È la prima ricorrenza, domani martedì 12, della tragedia con la giustizia che ha fatto il suo corso. Ma non mancherà, come è accaduto finora ad ogni anniversario, il pellegrinaggio di parenti ed amici delle nove persone decedute e di chi ha riportato danni gravissimi in varie parti del corpo. Davanti alla lapide, eretta sulla pista ciclabile proprio di fronte a dove la frana si era abbattuta, sarà il rito di sempre.

Con tante candele, le preghiere in ricordo di una tragedia che ha scosso la Venosta e tutta la provincia di Bolzano, i treni che azioneranno la sirena a mo' di ricordo, i familiari che ricorderanno commossi i loro cari. Una tragedia dovuta alla fatalità: così si è espresso il tribunale nella sua sentenza.

«Sono sorpreso per la sentenza. Evidentemente quella tragedia è stata provocata soltanto da una fatalità che ha avuto un esito doloroso per me e per i venostani, oltre al macchinista del treno che era un meranese, che non ce l'hanno fatta a sopravvivere». Lo ricorda Armin Stecher di Prato allo Stelvio che nella tragedia del treno ha perduto la moglie Michaela Zöschg che in treno viaggiava alla volta di Bolzano dove avrebbe dovuto allattare il loro bimbo Peter che era nato pochi giorni prima.

«La mia sorpresa credo sia quella di tutte le vittime della sciagura del treno. Evidentemente doveva succedere. Ciò che mi sorprende è il fatto che una valvola come quella che ha originato la tragedia deve essere in grado di garantire la sicurezza. Quante altre ve sono nelle stesse condizioni e potenzialmente sono molto pericolose? Ripeto: sono sorpreso della sentenza del Tribunale di Bolzano ma vorrei tanto che le situazioni di pericolo esistenti fossero eliminate. La fatalità, quando capita, è difficile da accettare. Soprattutto se crea una serie di dolori», ancora Stecher. Quest’ultimo ed il piccolo Peter - che da pochi giorni ha 6 anni - vivono nella nuova casa, a Prato allo Stelvio dove si sono trasferiti dalla frazione di Agumes.

«In questi sei anni sono riuscito a completarla come era il desiderio mio e di Michaela. Il bambino sta bene. Ogni volta che lo guardo vedo la sua mamma Michaela e vivo cosi, nello stesso tempo, la disperazione del dolore e la gioia per questo nostro bimbo che mi ha lasciato», evidenzia Armin Stecher.

Quest'ultimo - di quella tragica mattina in cui la frana s'è abbattuta sul treno fra Laces e Castelbello - ha un ricordo indelebile: «Rivedo sempre il volto di Michaela ancora ricoperto di fango, risento quell'odore di morte dentro l'obitorio e solo il faccino di Peter mi consente di reagire, di non precipitare nella disperazione e di complicare il rapporto che sono riuscito ad instaurare proprio con lui, rapporto che con il passare degli anni si è cementato».

Ci sarà anche lui, probabilmente, domani mattina davanti alla lapide eretta dalla Provincia a ricordo della strage del treno. Per ricordare, per non dimenticare mai.













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