IL DATO

Sorpresa: in Alto Adige i nuovi migranti arrivano dal Sud Italia 

I dati sui flussi. Aumentano i laureati altoatesini che si trasferiscono in Germania e Austria al loro posto giovani dal Meridione attratti dall’offerta di lavoro: 1.500 solo nel 2017


Luca De Marchi


Bolzano. È uscito lo scorso febbraio per la casa editrice Aracne “Alto Adige crocevia d’Europa”, un volume a cura di Carlo Lallo (facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi Roma Tre) e di Livia Taverna (facoltà di scienze della formazione dell'Università di Bolzano), con anche due saggi dei ricercatori Domenico Gabrielli dell’Istat e di Roberta Medda dell’Eurac. Il libro offre un’immagine nuova della provincia altoatesina.

Dottor Lallo, “Crocevia d’Europa” è un titolo che mette la Provincia al centro del continente.

L’Alto Adige è al centro di una serie di processi migratori molto diversi fra loro per tipologia e per provenienze. Noi demografi quando vediamo dei fenomeni che ci meravigliano, abbiamo il compito di approfondirli e giustificarli. Così è iniziata questa indagine che si basa su dati raccolti dal 1995 al 2014, ma rilevando alcuni dati del 2017 ho recentemente constatato che non hanno subito variazioni importanti fino a oggi.

Cosa si aspettava e cosa ha scoperto?

Mi aspettavo una terra costituita principalmente da immigrati che vengono a cercare lavoro. L’Alto Adige, secondo i dati recenti dell’Eurostat, è una delle regioni più ricche del continente, con opportunità maggiori rispetto a regioni come la Baviera. Invece ho scoperto alcuni flussi migratori particolari.

Uno di questi flussi riguarda anche molti giovani.

Sì, è un flusso di natura recente e che negli ultimi anni è rimasto stabile. Si tratta soprattutto di giovani laureati sopra i vent’anni che emigrano verso il nord Europa e si fermano soprattutto in Austria e in Germania. Nel 2017 sono 1624 gli altoatesini che hanno lasciato l’Alto Adige per i paesi germanofoni, mentre gli immigrati da questi stessi paesi sono stati solo 670, con un saldo negativo di -954. Per il momento non ci sono flussi di ritorno: parliamo di veri e propri cambi di residenza, quindi di scelte di vita importanti.

Perché i giovani altoatesini emigrano da una terra così ricca di opportunità?

Le ragioni culturali e psicologiche sono difficili da secernere. La spiegazione più evidente è che l’Alto Adige sta formando per la prima volta del personale altamente qualificato in materie scientifiche o in ingegneria, senza però riuscire poi a impiegarlo.

Il settore agroalimentare e il turismo non bastano più?

Turismo e agricoltura sono industrie avviate da tempo e che costituiscono l’identità della provincia, ma sono anche industrie sature. Per mantenere il personale altamente qualificato altoatesino servono nuovi tipi di lavoro, quindi grandi investimenti pubblici. La ricerca tecnologica e ingegneristica, per esempio, i laboratori chimici, di ricerca tessile, manifatturiera ed elettrica. Serve produrre conoscenza, creare modelli da esportare.

E i lavori che presuppongono più manualità chi li fa?

Si spiega così l’aumento dell’immigrazione dal sud Italia, anche questa di natura recente come quella dei giovani laureati verso il nord. C’è sempre stato un considerevole flusso migratorio dal sud, in particolare dalle regioni di Puglia e Calabria, ma non si erano mai visti così tanti immigrati italiani dai tempi del ventennio fascista. Nel 2017 sono 3.158 gli italiani che si sono stabiliti in Alto Adige, mentre 1909 sono quelli che hanno lasciato la Provincia. L’Astat inoltre rileva che più della metà di questi immigrati in Alto Adige proviene dalle regioni Centro-meridionali (1459 persone).

Un altro flusso importante nella nostra Provincia è quello dall’est Europa.

Dagli anni Novanta a oggi i flussi verso est si sono trasformati e oggi assistiamo a un flusso importante di over trenta e over cinquanta che tornano a casa. Da quando Slovenia, Romania e Bulgaria sono entrati a far parte dell’Unione Europea, questi paesi hanno visto significativi miglioramenti nelle condizioni di vita e i loro cittadini non si fanno quindi remore a tornare, visto che possono rientrare in Italia in qualsiasi momento senza troppe complicazioni burocratiche.

E questo è un bene o un male per la nostra società?

Un bene. Le barriere burocratiche non frenano gli ingressi e rallentano le uscite, che diventano più difficili. La storia umana insegna che quando hai l’opportunità di muoverti verso un paese più sicuro o ricco, lo fai a tutti i costi. Quando la Romania è entrata nell’Unione Europea in Italia sono aumentate di colpo le richieste di ingresso, il che non significava un improvviso flusso: erano migranti già presenti sul territorio, ma irregolarmente. Regolamentare le entrate e le uscita evita gli squilibri che ci sarebbero se i confini fossero chiusi o semichiusi dalla burocrazia. Altri flussi di ritorno al di fuori di quelli che viviamo con i paesi dell’est, infatti, non si rilevano.

Infine ci sono diversi immigrati più anziani che raggiungono la nostra Provincia.

Da Austria e Germania stanno aumentando gli arrivi di persone con più di sessant’anni. Si parla di emigrazione “eliotropica”, o in inglese di “sun migration”, la migrazione verso il sole: quella méta che viene scelta per trascorrere l’ultimo stadio della propria vita.

Da queste analisi qual è l’immagine che emerge dell’Alto Adige?

L’Alto Adige è una terra di migrazioni, una terra in cui si arriva e si parte e, per identità storica, una terra nella quale le culture si incontrano. Quello che abbiamo rilevato è un sistema di migrazioni che sfida la concezione della migrazione semplice, per la quale ci si sposta solo dai paesi più poveri a quelli più ricchi. L’Alto Adige è fuori da questo schema.

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