Tragedia del canyon: «Simon non indossava equipaggiamento adeguato»

Uno dei soccorritori ricostruisce l’incidente costato la vita al ragazzo: «É stato travolto dalla corrente, ma aveva scarpe leggere ed era in costume»


di Fausto Da Deppo


TERMENO. É annegato in una pozza mentre scendeva il canyon del rio Nero, tra Aldino e Ora. Secondo i soccorritori che domenica sera ne hanno recuperato il corpo, il venticinquenne Simon Valtingoier, di Termeno, «in quella pozza è arrivato al termine di una calata e la corrente l’ha schiacciato contro la roccia». Bisognava superare la forza dell’acqua, «non contrastarla, ma tuffarsi oltre - dice Erwin Kob - o lanciare una corda per la successiva calata. Bisognava applicare la tecnica più corretta» e Simon non ce l’ha fatta, la corrente di ritorno l’ha immobilizzato e ucciso sotto gli occhi dell’amico Philipp Micheli, che non ha potuto aiutarlo.

Kob è il responsabile provinciale della squadra canyoning del Soccorso alpino e domenica è stato tra i coordinatori dell’intervento d’emergenza sul rio Nero. Ricostruisce quello che può essere accaduto, ricorda di aver visto «un corpo quasi nudo nell’acqua» e di aver pensato che il ragazzo di Termeno aveva scelto un’escursione «di media-alta difficoltà con un equipaggiamento non adeguato».

«Per il canyoning, o torrentismo, servono casco, imbrago, scarpe e corde specifiche e una muta, quella da sub o meglio una con protezioni a ginocchia e gomiti. Valtingoier - aggiunge Kob - non aveva il casco, forse perso nella caduta, e indossava un buon imbrago, ma anche scarpe leggere e costume da bagno, una tenuta che riduce la resistenza e aumenta i rischi, considerando che per 3-4 ore (la durata del percorso del rio Nero) ti muovi in un ambiente difficile e chiuso, con l’acqua a 6-8 gradi».

L’acqua è l’elemento che fa la differenza nel canyoning. Kob insiste su questo, nei corsi curati con il Soccorso alpino e nei consigli: «In questa disciplina, per affrontare un imprevisto non hai a disposizione minuti, ma solo secondi. La portata del rio Nero domenica era nella media per il periodo, ma se capita una chiamata per annegamento in un canyon sappiamo che non arriveremo in tempo, perché il margine massimo per salvare un uomo è un minuto e mezzo, quanto si può resistere in apnea, sotto sforzo, in preda alla corrente».

L’amico di Simon, Philipp, ha disperatamente cercato di chiamare i soccorsi, ma nel canyon non c’era campo per il telefonino. «Non c’era nemmeno per le radio», osserva Kob, che il rio Nero lo conosce bene. E’ stato lui, con la sua squadra, a verificare «circa un mese fa gli ancoraggi per le corde. Il canyon - precisa il tecnico - non è difficile per la verticalità dei salti e la lunghezza delle 16 calate, ma per le condizioni dell’acqua e le poche vie di fuga.

E’ conosciuto, anche se non popolare: lo frequenta qualche decina di appassionati al mese, ma il problema col torrentismo, ovunque lo si pratica, è che spesso viene considerato semplicemente divertente, sottovalutando i rischi legati all’acqua. Valtingoier era un ragazzo dotato fisicamente, con esperienza alpinistica, ma non mi è sembrato equipaggiato in modo adeguato. Infine, noi consigliamo di uscire sui torrenti almeno in 4. In caso di incidente, uno resta col ferito e due cercano aiuto, perché muoversi da soli è pericoloso».

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