Una coda senza fine per non lasciare sola Barbara 

Dolore silenzioso. Nella chiesa di San Michele ad Appiano è esposta fino a domani la salma di Barbara Rauch, la mamma di soli 28 anni accoltellata a morte da uno stalker il 9 marzo



Appiano. Il viavai è continuo. occhi gonfi, sguardi increduli. la chiesa di san michele, minuscolo gioiello del xiii secolo, offre spazi angusti e le misure anti-contagio costringono le persone ad attendere il loro turno prima di poter entrare. ma l’afflusso è stato continuo ed è facile immaginare che lo sarà anche oggi e domani.

L’ultimo saluto

Non solo gli abitanti di Appiano, dove tutti conoscevano il suo sorriso, la sua solare simpatia, ma sono arrivate persone da Bolzano e da tutta la Bassa Atesina per dare l’ultimo, straziante saluto a Barbara Rauch, ventottenne, madre di una bimba di tre anni, uccisa a coltellate nella sua enoteca, nella notte tra il 9 e il 10 marzo scorso, da un conoscente che la perseguitava da tempo. Resterà nella chiesa di San Michele fino a domani e poi, in forma strettamente privata, verranno celebrate le esequie. Il feretro di Barbara è stato collocato nell’abside, davanti all’altare, illuminato dai fasci di luce che entrano dalle quattro finestre a sesto acuto. Luce che sembra rendere ancora più solare il sorriso di Barbara, la cui foto in bianco e nero è poggiata sul coperchio della bara in legno bianco. Una rosa rossa e la targa con la scritta “Barbara Rauch 26.11.1992 - 09.03.2020”. Basterebbero quei numeri a raccontare lo strazio per una vita spezzata a soli 28 anni, per una mamma rubata alla sua bimba, per una moglie strappata al marito, per una figlia strappata ai genitori e all’intera comunità. Sulla bara c’è anche un piccolo disegno fatto a pennarello con la scritta “Mammy”. Lacrime.

Una bimba bionda

In mattinata, qualcuno ha portato una grande fotografia. Ritrae una meravigliosa bambina bionda che dorme serena, con le labbra rosse come i fiorellini del suo pigiamino, appoggiata probabilmente al bracciolo di un divano. Un ritratto di Barbara, scattatole quando aveva su per giù gli anni della sua bambina ora. Dolcezza infinita. Quella dolcezza che mamma e papà assaporano, mai sazi, osservando i figli assopiti. Quella dolcezza che lì, davanti alla bara di Barbara, sembra quasi fuori luogo. Ma non è così. Quella bimba serena riesce ancora a infondere pace interiore a chiunque la guardi, riesce a placare la rabbia che la sua morte assurda fa crescere in ognuno, da quel maledetto 9 marzo. Sulla sinistra, da una coltre di ceri accesi si levano fili di fumo nero. Sul lato opposto, su un leggio, un registro raccoglie le firme e i pensieri di chi entra. Ieri, ne sono stati riempiti due. Appoggiato sull’acquasantiera in marmo, lì accanto, un flaconcino di liquido igienizzante. Simbolo tangibile di un’emergenza che ha aggiunto dolore a dolore. E non ce n’era davvero bisogno. Un’emergenza che ha reso ancora più pesante, più difficile, più straziante gestire tutto quanto è accaduto dopo la tragedia. Un incubo nell’incubo.

La foto sul lago

Lì, davanti alla bara, le mani di tutti si sono allungate verso il cestino per prendere un santino, per rubare un pezzo di Barbara e del suo sorriso. Un cartoncino che, all’esterno, ritrae la giovane mamma e la sua bimba. Entrambe di schiena, in riva al lago di Garda, sulla spiaggia di Torbole, entrambe assorte. Barbara è seduta su una pietra e la sua piccola è seduta sulle sue ginocchia. Guardano entrambe nella stessa direzione, quasi stessero guardando il loro futuro. Un futuro che avrebbero dovuto affrontare assieme, ma che una mano assassina ha voluto negare loro. Dentro il santino, la stessa foto posta sul feretro e una sola frase, in tedesco: «In ogni lacrima vive una goccia di ricordo e con lei una luce che continua a vivere».

Nei prossimi giorni, la cerimonia funebre. Sarà la fine del primo capitolo di una storia terribile che, nelle sue prossime pagine, resta ancora tutta da scrivere. A farlo saranno giudici e avvocati cui spetta il compito di fare piena luce sulla personalità di Lukas Oberhauser, il venticinquenne di Vilpiano, che perseguitava Barbara da tempo e che è stato arrestato dopo l’omicidio; su quanto accaduto quella notte all’interno della Bordeaux Keller, dove la ventottenne era rimasta da sola e dove Oberhauser è entrato con un coltello in tasca. Saranno pagine pesanti che solo la speranza di arrivare a un verdetto di giustizia renderanno più sopportabili. Ma nemmeno un’equa sentenza, ammesso che arrivi, renderà più sopportabile il dolore di un marito e dei genitori.

Nulla potrà risarcire la bimba di Barbara per essere cresciuta senza mamma. (P.T.)













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