La storia

«Vivo due mondi possibili, il vostro e il silenzio. Ma ho imparato a farcela» 

Michela Zippo, bolzanina di 38 anni, si racconta: «Sono sorda, ma un impianto mi ha ridato i suoni. Lavoro come tecnica in ospedale»



BOLZANO. «Sono sorda ma un impianto cocleare mi ha ridato i suoni. Vivo tra due mondi possibili: il vostro e quello del silenzio. Ed ho imparato a farcela».

Michela Zippo, bolzanina, 38 anni, madre di due figlie, ha combattuto indifferenza, ignoranza, superficialità e istituzioni. E adesso si racconta con un messaggio di speranza: «Nulla è impossibile».

«Quando ero piccola sognavo una vita come tutti gli altri. Ce l’ho fatta grazie alla mia famiglia, alla costanza ed alla fermezza di mia madre (mi ha dedicato parte della vita) e di mio padre. I miei non hanno voluto per me una scuola “speciale”. Non hanno voluto un istituto per sordomuti ma sono riusciti tra enormi difficoltà ad iscrivermi alle scuole “normale”. Questione scontata per ogni ragazzina, non per me. E allora prima le elementari alle Manzoni, poi le medie alle Foscolo, un anno al Pascoli ed i Geometri.

La scuola è stata il mio primo vero traguardo, che ha avuto delle interruzioni perché ho “scartato”. Ho cambiato istituto ed ho dovuto rifare la maturità. Ma sono andata avanti ed oggi lavoro nel laboratorio dell’ospedale San Maurizio. Sono tecnica sanitaria di laboratorio biomedico.

Una bimba chiusa e molto sola.

«La mia è stata una strada lunga, lastricata di bullismo, ignoranza e tanta solitudine. Le difficoltà non mi hanno abbattuto ma fortificato. Ho sempre avuto una enorme voglia di riscatto perché volevo e dovevo dimostrare a tutti che “non udire” non significa “non capire”. Sono stata una bambina chiusa e molto sola. Senza tempo perché dovevo andare dalla logopedista per imparare a parlare senza voce, ad emettere qualche suono col solo movimento delle labbra ed a leggere il labiale.

All’asilo ed alle elementari ho avuto compagni spettacolari che mi hanno accettato così com’ero. Quelli, per me, anni fortunati. Capelli ricci e gonfi, per loro ero “nuvoletta bionda”. Fortunata anche ad avere un fratello con cui potevo giocare senza essere costretta a parlare. Mi capiva e poi mi ha sempre letto gli occhi. Ho conosciuto persone con il mio stesso problema, ci legava una sorta di fratellanza, con loro scambiavo esperienze fatti e fattacci.

La svolta e la rinascita.

Poi la svolta alle Medie. «Ero un adolescente difficile ed un giorno non sono andata all’appuntamento di logopedia, ho cambiato strada ed ho incontrato una persona “sordastra impiantata”, si dice così, che mi ha consigliato l’impianto cocleare. Ed è qui che sono nata la seconda volta. Chiusa la porta dell’inferno si è aperto quella del purgatorio. Dopo l’operazione ricordo ancora la prima volta che ho sentito gli uccellini. Mia mamma è svenuta. Ho affrontato mille terapie, mille percorsi di cura e mi sono trasformata. Prima mi guardavano male perché “ero la sorda” poi perché “la sorda con l’impianto ci sentiva e si era messa a parlare con tutti”.

La scuola a singhiozzo.

«La scuola andava a singhiozzo tra alti e bassi. Finalmente dopo la maturità ho iniziato gli studi per fare la tecnica di laboratorio. Laurea triennale. Anche lì ho avuto difficoltà perché all’inizio non avevo nessuno che mi prendesse gli appunti ma mi succede anche oggi che navigo verso la magistrale».

La sindrome.

«Ho impiegato più tempo a laurearmi perché ho avuto la sindrome di Miller Fisher, considerata una variante della Guillain-Barré. Una patologia paralizzante che si manifesta con la “caduta” delle palpebre (ptosi palpebrale), visione doppia (diplopia) ed andamento instabile (atassica). La malattia non mi permetteva di parlare, camminare, praticamente ero paralizzata... una sorda paralizzata ... cavoli amari. Ma ho superato tutto questa volta grazie alla fisioterapia e al sostegno delle persone care. Alla mia famiglia, a quella di mio marito ed a mio marito».

Al lavoro tutto più facile.

Ospedale, traguardo raggiunto, «Al lavoro è stato tutto più facile ma occorre sempre superare l’imbarazzo iniziale. Perché si sa che dicono... “arriva una nuova, è sorda. Ci sentirà? Non ci sentirà? Come faremo a farci capire?”. Non abbiate paura voi che sentite normalmente, non fatevi problemi, ma per favore aiutateci».

Maledetto Covid.

«Poi nel 2020 è arrivato il Covid, maledetto. Una delle mie figlie è nata durante la pandemia ad aprire 2020. Il virus vuol dire mascherina e per noi sordi non poter leggere il labiale e poi già sento male, figuratevi cosa accade quando la voce è filtrata. Mi sono sentita spesso tagliata fuori perché faccio fatica a volte a capire bene e non conosco il linguaggio dei segni (sto facendo il corso per perfezionare il “Lis” ed a volte soffro solitudine. Anche per questo esco poco con gli amici che per fortuna mi capiscono e sanno che quando scompaio vuol dire che sono stanca di lottare. A volte faccio fatica a farmi capire. Non è sempre bello chiedere “cosa? cosa? cosa?” mentre si parla tra amici e colleghi. Per fortuna spesso ho trovato delle persone che si fanno capire, abbassano la mascherina e mi guardano per intuire se ho capito o no. Si dai, ho capito».

Niente è impossibile.

«Mi sono accettata, ho lottato e l’ho spuntata. Anzi direi che la spunto tutti i giorni. Ho imparato ad accettare la mia sordità. Ho conquistato tantissimo ma c’è tanto lavoro da fare, la strada è ancora lunga. Immagino che vi chiediate perché sono qui a raccontarvela? Perché sono ad un buon punto della mia vita e volevo tracciare una riga guardando all’indietro. E poi perché spero che tutti i bambini sordi che verranno trovino un sistema scolastico migliore che non faccia passare loro il mio calvario. E per spiegare a tutti voi che sentite e parlate normalmente che non è sempre così per tutti. A volte occorre tendere una mano. E chissà magari un giorno quella mano ci sarà restituita. Il messaggio è uno solo ed è di assoluta speranza: niente è impossibile». V.F.













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