L’intervista

«La gestione dell’autonomia non sia solo di natura etnica»

L’ex governatore e deputato trentino: «In passato non era necessario che a Roma ci fosse la stessa coalizione di Bolzano. Importante è una visione territoriale dello Statuto come già accaduto»


Paolo Campostrini


BOLZANO. «Sia i tedeschi che gli italiani in Alto Adige si erano dati dei confini sulla destra». E quali, presidente? «Erano posti a protezione di una autonomia che trovava la sua ragione di sviluppo nel superamento dei nazionalismi». Lorenzo Dellai - ora “Campobase Trentino” - ha guidato per anni la Provincia di Trento, spesso in stretta collaborazione con Bolzano. Anche per via di un asse politico europeista e sociale. È stato parlamentare.

Invece adesso?

«Mi permetto, da osservatore, di essere perplesso».

Ma la Svp ha detto: a destra gli eletti sono più che a sinistra.

«Capisco le dinamiche bolzanine. Vanno sempre guardate con prudenza. Ma in questo modo si apre di netto ad una visione dell’autonomia e dei suoi equilibri solo in chiave etnico linguistica».

Intende dire che si costruisce la politica per numeri e basta?

«Questo è il rischio. L’Alto Adige ha messo in piedi da anni un processo di evoluzione della sua autonomia storica in chiave etnica aprendola da un po’ di tempo ad una visione invece territoriale e culturale».

Cioè di condivisione degli obiettivi di fondo di una società?

«In qualche modo sì. Un’autonomia che da “solo” etnica stava diventando “anche” territoriale, composta da visioni comuni ai due gruppi da tenere insieme».

Di che tipo?

«Penso all’Europa, ad una apertura verso le sue nuove dinamiche di superamento dei confini ad esempio. Al sociale, alla cultura, alla stessa impresa e all’ecologia». Come era stata costruita invece questa evoluzione verso un’autonomia più partecipata?

«Beh, attraverso un asse politico preciso. Anche a Trento. Ma a Bolzano all’inizio con la Dc, penso a Berloffa, e poi col mondo del centrosinistra. È dentro questo preciso asse politico che si è costruita l’autonomia».

Ancora la Svp dice però: al governo adesso c’è la destra.

«Probabilmente dimentica che qualunque fosse la forza politica al governo, questo asse autonomistico ha sempre e comunque costruito rapporti autorevoli con Roma». Di qualsiasi segno?

«Certo. Con interlocutori di destra o di sinistra. C’era sinergia tra Trento e Bolzano, nel gioco tra le due provincie. E poi col lavoro delle delegazioni parlamentari».

Ora si vorrebbe il filo diretto con Roma.

«Ma i fili ci sono sempre stati. La questione era avere idee comuni. Se l’asse politico condivide i contenuti delle richieste autonomistiche queste hanno buone possibilità di fare strada. Non era necessario che a Roma ci fosse la stessa coalizione di Bolzano».

Invece sembra che questo sia stato lo snodo che ha portato alle trattative di questi giorni.

«Non mi pare di largo respiro come ragionamento. Apre la strada a scelte non legate alla costruzione di un percorso condiviso sul territorio ma le connette semplicemente alla politica del momento».

Per questo è perplesso?

«Per l’abbandono di una visione più ampia delle cose. I valori che hanno tenuto insieme le spinte autonomistiche della Svp da un lato e la condivisione di quelli stessi scenari chiesti dal mondo tedesco da parte dei partiti italiani dell’asse di centrosinistra, sono quelli che hanno portato alla pacificazione e all’avvio di una possibile visione territoriale dello statuto. Tornare ad una gestione dell’autonomia solo numerica e dunque esclusivamente etnico linguistica mi preoccupa».

Intende dire che senza valori comuni non si governa?

«Non mi permetto di dirlo. Anche perché da Trento, adesso, non possiamo certo dare lezioni…».













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