L'INTERVISTA silvano graziadei 

«Aggressioni in ospedale, lavoriamo nella paura» 

Tentato omicidio in psichiatria. Il sindacalista di Nursing Up denuncia un clima di apprensione «L’Azienda sanitaria attui misure concrete: sorveglianza permanente e denuncia d’ufficio» 



merano. Sono sempre più frequenti le aggressioni al personale sanitario degli ospedali. Quello di martedì mattina, ad opera di una paziente del reparto di psichiatria del Tappeiner, è il terzo episodio in appena tre o quattro mesi. Così, dopo la manifestazione dello scorso 22 novembre davanti agli ospedali della provincia, il sindacato Nursing Up torna a presentare con ancora più fermezza le proprie istanze: nei confronti dell’Azienda sanitaria una maggior tutela nei confronti degli operatori mediante l’ attuazione di misure concrete atte a ridurre drasticamente il verificarsi di simili episodi, e nei confronti dell’utenza un maggior rispetto nei confronti di tutti gli operatori della sanità. A fare da megafono alle richieste degli oltre 400 iscritti meranesi è Silvano Graziadei, infermiere e sindacalista referente per la città.

Che cos’è successo, esattamente, martedì mattina?

La paziente era riuscita a procurarsi un coltello da caccia, uno di quelli con la lama su un lato e la sega sull’altro. Ha inferto una coltellata nel collo della compagna di stanza, per fortuna senza arrivare alla carotide, e due – a un gluteo e a un braccio – all’operatore che la stava cercando di disarmare. Due infermieri sono riusciti a immobilizzarla, l’anestesista l’ha sedata. C’è da dire che nel reggiseno nascondeva un tirapugni provvisto di uno spuntone.

La domanda che corre ovunque è come abbia fatto a procurarsi un coltello.

I pazienti psichiatrici, come gli altri, ricevono visite, e non sono sottoposti a perquisizioni corporali. E possono fare passeggiate in giardino o uscire dall’ospedale per breve tempo, giustamente, quindi è difficile risalire alla provenienza di coltello e tirapugni. Ma va tenuto conto che ogni oggetto, anche una semplice penna, può essere un’arma. E che i pazienti psichiatrici possono sfoderare una forza disperata, insospettabile, in modo imprevedibile.

Poi ci sono anche le aggressioni verbali.

Sì, eccome. Non si contano i casi di minacce del tipo «Ci vediamo fuori». Prendiamo il Pronto soccorso, con circa 200 accessi al giorno: noi infermieri siamo sempre sotto organico, e pure i medici, quindi in chi deve aspettare cinque, sei ore si ingenera un senso di frustrazione che sfocia nella lamentela. E se si lamenta uno, si comincia a lamentare un intero gruppo di persone. Così quando ci si affaccia alla sala d’attesa si viene aggrediti.

La frustrazione è anche di chi si cura degli altri, quindi. Quali sono i modi per andare avanti?

Fortunatamente abbiamo un servizio psicologico interno, ma se si guardano i numeri di coloro che scelgono di lavorare nel privato si può avere una misura delle nostre preoccupazioni. La solidarietà tra medici, infermieri e operatori non riesce a scalfire questo clima di paura.

E la sorveglianza?

La direttrice del comprensorio, Irene Pechlaner, ha dichiarato che l’Azienda farà un bando per una guardia esterna nell’orario del Pronto soccorso, dalle 16 alle 8 del mattino. Ma la guardia serve fino a un certo punto: in caso di bisogno ai reparti è difficile che arrivi in tempo per evitare l’aggressione. Servono servizi di sorveglianza ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni su sette. E serve la denuncia d’ufficio da parte dell’Azienda, che deve anche costituirsi parte civile nei procedimenti penali a carico degli aggressori, oltre alla creazione di un osservatorio ad hoc con il compito di monitorare il fenomeno. A psichiatria servirebbero perquisizioni personali, ma chi le farebbe?

Tagli all’istruzione, caduta dei filtri comunicativi, povertà diffusa e risentimento: ci possono essere cause culturali o sociologiche?

Sì, e si vede soprattutto quando i pazienti sono in stato di alterazione da abuso di alcol o di sostanze, o se arrivano da zone di guerra dove la vita vale poco. Per queste persone il confronto fisico è più facile. Chi non è alterato o è nato qui è più verbale, anche se non mancano le aggressioni fisiche anche da parte di questi ultimi. Viene a mancare il rispetto. E noi infermieri siamo in prima linea: servono un aumento del personale e ulteriori soluzioni organizzative per ridurre il tempo di attesa degli utenti, in particolare al Pronto soccorso.













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