Birkenau, indignazione per il residence 

La protesta: «Un nome fuori luogo». Il sindaco: «Birke significa betulla: è solo un equivoco»



TIROLO. È transitato per la via Principale che porta a Tirolo ed è rimasto indignato per il nome del residence Birkenau (attualmente chiuso in quanto fuori stagione turistica) all’ingresso del paese. La segnalazione di un lettore solleva la questione proprio in occasione del Giorno della memoria. La casa esiste dagli anni 50-60, la gestione in corso è cominciata una quindicina di anni fa e si è limitata a conservare la denominazione. “Birke” significa betulla e il nome è legato a quelle piante che esistevano in zona al momento della costruzione. L’autore della segnalazione, ricordando fra l’altro l’aumento in tutta Europa e in Italia di movimenti estremisti di destra, auspica che i titolari prendano in considerazione l’opportunità di cambiare il nome. Per inciso, non è l’unica struttura turistica altoatesina a chiamarsi così.

«È la prima volta che mi imbatto in una simile considerazione - dice il sindaco Erich Ratschiller - e verosimilmente il nome, come spesso accade, deriva dalla presenza di quel tipo di vegetazione che con tutta probabilità si trovava in quella zona».

Commemorazione a Merano. Il caso si è verificato proprio in occasione del Giorno della memoria che si celebra quest’oggi. Ieri a Merano sul luogo della memoria di via Zuegg presso l’area della ex caserma Bosin, dove nel 1944-45 si trovava un sottocampo del lager di Bolzano, si è tenuta la commemorazione organizzata dall’amministrazione comunale alla presenza di autorità civili e militari. Tre gli interventi: del sindaco Paul Rösch, del vicesindaco Andrea Rossi e della presidente della Comunità ebraica di Merano Elisabetta Rossi. «Dobbiamo tenere gli occhi sempre aperti e continuare a impegnarci per una società libera, che non escluda o discrimini, che non tracci confini alimentando la cultura dell'ostilità, ma che invece cerchi soluzioni attraverso il dialogo pacifico» ha sottolineato il sindaco Rösch, che ha poi concluso: «Questa è oggi la nostra responsabilità, ed è anche la ragione per la quale ogni anno ci riuniamo in questo luogo a commemorare le vittime di allora nella consapevolezza che è nostro dovere mantenere vivo, oggi e nei giorni a venire, il loro ricordo».

Nel suo intervento Andrea Rossi ha ricordato le tante persone onorate dallo Yad Vashem, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah di Israele, con il riconoscimento di giusti tra le nazioni: «Uomini e donne che hanno agito in modo eroico a rischio della propria vita e senza interesse personale per salvare la vita anche di un solo ebreo dal genocidio della Shoah. Persone che fecero tutto questo nel silenzio della clandestinità e dell’umiltà». Elisabetta Rossi, in una nota, lancia un monito: nelle strade d'Europa e in Italia vediamo vecchi e nuovi fascismi, vecchi e nuovi antisemiti, nascosti sotto il falso nome di antisionisti, marciare al grido di “morte agli ebrei” nell'indifferenza assoluta dei governanti, della politica, delle bandiere e dei simboli. «Non abbiamo imparato che dopo le urla e le minacce qualcuno alzerà la mano e comincerà ad uccidere». Ecco perché non si deve dimenticare, ed evitare che questa si arresti alla superficie del ricordo. «Come gli atleti, studiamo le cose passate per poter correre meglio in futuro».













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