Montefiori stroncato da un malore al Tappeiner 

Il lutto. Carabiniere a Merano dal 1970, negli anni Novanta presidente del Consiglio provinciale Autore di diversi romanzi a sfondo storico, la sua seconda casa era il circolo militare



Merano. In uniforme prima, in politica poi: uomo pubblico per tanti anni. E anche nella seconda parte della sua vita era rimasto brioso animatore della comunità. Umberto Montefiori, 73 anni compiuti da pochi giorni, è stato tradito ieri da un arresto cardiaco dopo mezzogiorno mentre si trovava all’ospedale Tappeiner in attesa di una visita di routine. Per oltre un’ora i medici hanno tentato senza successo di tenerlo in vita.

Aveva lasciato gli amici del circolo unificato la mattina con un arrivederci e progetti culturali in sospeso. La malattia ne aveva minato il fisico ma lo spirito era quello arguto, intraprendente, frizzante di sempre. Lascia la moglie Adapia e tre figli.

Montefiori carabiniere. Montefiori presidente del consiglio provinciale. Montefiori anche imprenditore edile, infine scrittore con una passione erudita e autodidatta per la storia. Montefiori marito, padre e amico. Una vita in prima linea sui vari fronti, occhio critico delle vicende nazionali e locali, anche attraverso appuntiti interventi su queste pagine. «Penso che una persona porti in sé diverse potenzialità. Tutto sta nel lasciarle emergere, nel farle venir fuori»: lo aveva detto alcuni anni fa nel corso di un’intervista per presentare uno dei suoi libri. Non una dichiarazione di principio, ma un pensiero applicato all’esistenza.

Umberto Montefiori era nato il 3 dicembre 1946 a Vezzano Ligure, nell’entroterra spezzino. Dopo la laurea in Giurisprudenza all’Università Statale di Torino si era arruolato nell’Arma. Era arrivato a Merano nel 1970 con il grado di sottotenente del reparto operativo. Avrebbe concluso la carriera in uniforme vent’anni dopo, nel 1990, con il grado di maggiore. Sbirciò dietro la porta della politica e vi si trovò catapultato dentro: con la prima Lega Nord eletto consigliere provinciale legislatura nel 1993 con 9600 preferenze, una sorpresa anche per lui. Subito un ruolo di primo piano in quel Carroccio rampante: presidente del consiglio per mezza legislatura, fra il ‘96 e il ‘98. «Un'esperienza che ho cercato di condurre al di sopra delle parti e nel segno del bene pubblico – avrebbe detto di quella parentesi -, un modo di propormi strettamente legato ai miei trascorsi militari». In seguito un’appendice nel suo paese di nascita, in veste di consigliere comunale eletto come indipendente nell’alveo del Pd. Ha continuato a seguire la politica, con occhio disincantato e coltivando vecchie amicizie. Ma mentre affrontava la malattia, una grave forma di diabete a causa della quale aveva subito l’amputazione di una gamba costringendolo alla carrozzina (e poi altri malanni), a farsi strada era stata la passione per la storia, riversata nell’inchiostro. Storia d’Italia, di episodi e personaggi noti e meno noti: vari suoi libri romanzano la spedizione dei Mille, Radetzky “milanese d’adozione”, l’operazione Iblis sulla guerra in Africa. Alcuni suoi scritti negli ultimi anni erano stati trasformati in brani teatrali da Romano Cavini e portati in scena dal Piccolo Teatro. «Uno scrigno di conoscenza storica, con la sua verve riusciva a calamitare le attenzioni di chi lo ascoltava», ricorda Cavini. Suo “palcoscenico naturale” era il circolo unificato di via Mainardo, diretto dal tenente colonnello Maurizio Pulimeno: «Godeva della stima di tutti. Era uno di noi, anche per i suoi trascorsi nell’Arma. Grazie ai sui libri, alle sue conferenza, all’iniziativa “nipoti e nonni” che avvicinava le generazioni, era un trait d’union fra il mondo militare e il tessuto sociale cittadino». SIM













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