Pavarotti e Merano La moglie Nicoletta: «Nostro buen retiro» 

I talenti della Fondazione del Maestro cantano al Kursaal  La Mantovani: «Al Palace con Dalla, i caffè tra la gente»


di Jimmy Milanese


MERANO. Luciano Pavarotti è stato tra i più importanti tenori del Novecento, capace come nessuno di portare la lirica tra la gente comune. A dieci anni dalla scomparsa del grande tenore, sua moglie, Nicoletta Mantovani, ricorda le giornate passate a Merano, per disintossicarsi dallo stress, senza mai negarsi ai tanti fan che lo salutavano. Lo fa in occasione del concerto al Kursaal, domani sera, in cui si esibiranno i giovani talenti della Fondazione Pavarotti. «Luciano ha sempre creduto nei giovani - racconta Nicoletta Mantovani - si è sempre occupato di loro, come quando scoprì il tenore Roberto Alagna. Proprio negli ultimi anni aveva deciso di aprire loro le porte di casa».

Sono passati dieci anni da quel settembre del 2007, come si riempie questo vuoto immenso?

«Il vuoto non si colma mai. La sua mancanza, grandissima, rimarrà nel mio cuore per sempre. Lo ricordiamo però attraverso gli eventi che creiamo, continuando a portare avanti il suo insegnamento e cerco anche di ricordarlo con concerti in sua memoria, come quello in programma giovedì al Kursaal».

Pavarotti veniva spesso a Merano, facendo staffetta con Mike Bongiorno al quale Luciano lasciava un mazzo di fiori nella stanza del Palace. Era veramente buono con tutti?

«Un cuore enorme e una voce speciale, ma era la sua anima che lo rendeva grande nel mondo. Lui era generoso di spirito, pronto ad aiutare chiunque. Credeva sinceramente nella specie umana. Mi diceva sempre di guardare il lato positivo delle persone. Chi lo avvicinava, percepiva tutto questo».

Cosa ricorda dei soggiorni meranesi, lei c’era?

«Venivamo spessissimo da Henri Chenot. Per lui era come una rinascita, ricaricava le pile. Ogni tre o quattro mesi, Merano era una tappa fissa».

Proprio qui era solito incontrare giovani cantanti ai quali dispensava preziosi consigli. Uno di questi è Saimir Pirgu, oggi star mondiale.

«Saimir è una tra le tante bellissime scoperte di Luciano».

Pochi consigli, tra i quali quello di farsi capire, per il bene della lirica.

«Luciano aveva una dizione importante, scandiva bene le parole e la sua volontà è sempre stata quella di portare la litica fuori dai teatri: fin dal 1986 al Madison Square Garden di New York, poi i concerti dei tre tenori. Mi diceva sempre che se anche solo due persone su dieci avessero amato la lirica, la sua opera non sarebbe stata vana».

Girava molto per le strade meranesi, offriva caffè a tutti, si nutriva dell’enorme affetto della gente. Era così?

«Luciano era amico di tutti e in tanti anni non l’ho mai sentito parlato male di qualcuno, anzi, se iniziava il gossip, lui diceva che non gli interessava».

Per questo era molto amato dai colleghi?

«Si, i quali spesso tornano per ricordarlo. Zucchero, Bocelli, ma tanti altri che gli sono rimasti sempre accanto e continuano ad esserci».

Con Lucio Dalla un’amicizia speciale.

«Una totale affinità. Ricordo che fu Dalla a presentarci Merano come meta per trovare pace e tranquillità. Ricordo bene quando si vedevano al Palace, gli abbracci e le chiacchierate nella hall ai quali ho avuto l’immenso piacere di potere assistere».

La più bella voce del novecento che lei sentiva accanto ogni giorno. Quando capì che vi stavate innamorando?

«Subito, fu un colpo di fulmine, quelle situazioni dove vuoi vivere appieno ogni minuto. È stato un regalo, il mio regalo più grande, Luciano Pavarotti».













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