Scuole chiuse, boom di richieste per il servizio d’emergenza 

Le domande e le proteste in Alta Pusteria. Fino all’80% delle famiglie ha chiesto aiuto per l’assistenza ai figli E c’è chi punta il dito contro le certificazioni previste: «Sono generiche e nessuno controlla dati e motivazioni riportati»


Fausto Da Deppo


Alta pusteria. Con le scuole chiuse per il lockdown anti Covid, in Alta Pusteria si assiste a un boom delle richieste delle famiglie di accedere al servizio di emergenza (servizio di assistenza di base) per i figli che frequentano asili ed elementari. Da San Candido a Dobbiaco fino a Monguelfo – Tesido si è arrivati all’80-90% di genitori che hanno fatto domanda, con ricadute che da un lato mettono in difficoltà dirigenti e responsabili scolastici, dall’altro sollevano le proteste di chi indica o sospetta che ci sia qualcuno che approfitta della situazione.

Proteste dirette contro il modulo di autocertificazione da utilizzare per la richiesta di accesso al servizio di emergenza, servizio riservato ai figli di genitori (entrambi i genitori) che svolgono lavori essenziali, non sospesi nel lockdown, dalle professioni sanitarie a quelle in supermercati e farmacie all’insegnamento.

“Io ho un bambino piccolo – dice un’insegnante di scuola media di Dobbiaco - mio marito fa un lavoro essenziale e io lavoro da casa con la didattica a distanza, esclusa fino a oggi (ieri, ndr) dal diritto al servizio. Perciò non ho fatto domanda. Ma il modello per accedere al servizio d’emergenza richiede che solo uno dei genitori precisi la propria posizione professionale ed è sufficiente che l’altro spieghi di non essere in grado di prendersi cura del figlio. Dietro a una motivazione del genere, ci può stare chiaramente di tutto, da una reale, critica impossibilità a un’esigenza momentanea al semplice desiderio di prendersi del tempo libero”.

Di fatto, continua la docente, “ad esempio, a Monguelfo-Tesido (dove confluiscono anche scuole della Val Casies), da novembre a oggi i bimbi inseriti nel servizio d’emergenza sono passati da 23 a 70”.

Basterebbe verificare le autocertificazioni, dare un’occhiata alle motivazioni dichiarate e (anche a campione) vedere se corrispondono a bisogni effettivi, ma qui scatta un cortocircuito: “L’Intendenza – spiega l’insegnante – sostiene che sono i dirigenti a dover/poter controllare i moduli, ma i dirigenti rispondono che no, loro non li controllano, tanto più che i moduli stessi non richiedono la precisazione di dettagli facilmente controllabili (ad esempio relativi alle professioni dei genitori)”.

Insomma, molte famiglie “piazzano” i figli al servizio d’emergenza e così, paradossalmente, le classi chiuse per Covid si riempiono di nuovo in conseguenza delle restrizioni anti Covid. “Ho sentito di dirigenti che, di fronte ai numeri del servizio d’emergenza, hanno commentato che tanto vale riaprire le classi – riferisce l’insegnante – I vantaggi per i genitori che, diciamo, approfittano della situazione sono chiari: il figlio non se ne sta da solo a casa e non bisogna cercare (e pagare) come nel mio caso una babysitter peraltro difficile da rintracciare. Io una dichiarazione falsa o non vera non ho voluto firmarla e il punto è che questo sistema di cose rende inutili proprio le misure prese contro la diffusione del Covid: le classi tornano a riempirsi. Chi controlla in che modo questo avviene? Nessuno. Chi rischia di pagare le conseguenze in termini di diffusione del virus? Tutti”.













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