La crisi

Scuole di sci, inverno in rosso: zero incassi, restano le spese 

I bilanci in Val Gardena e Val Badia. Per i maestri l’ultimo stipendio è di marzo 2020, il prossimo sarà a gennaio ’22 «Aspettiamo notizie sia dalla Provincia sia dallo Stato per quanto riguarda il decreto di sostegno alla montagna»


Daniela Mimmi


DOLOMITI. Il maestro di sci è bello, alto, giovane, sempre abbronzato, parla tante lingue, è sempre allegro. Passa disinvoltamente dalla pista di sci all’après ski con i clienti che lo adorano. Questo nell’immaginario collettivo. Nella realtà il maestro di sci è un professionista serio e preparato, che ha fatto un corso di due anni e ha superato diverse selezioni ed esami. Sta in pista da quando aprono gli impianti a quando li chiudono, ogni giorno da fine novembre a metà aprile. Di solito è assunto dalle scuole con contratti a tempo determinato o come co.co.co, oppure è socio di una scuola.

Molti maestri di sci sono liberi professionisti, quasi tutti hanno un secondo lavoro, ma il grosso delle loro entrate è rappresentato dalle lezioni sulle piste.

Il loro ultimo stipendio risale al marzo 2020, il prossimo arriverà nel gennaio 2022. Si spera. Aiuti? “La situazione è drammatica e non più sostenibile – dice Leo Zambon, direttore della Scuola Sci Ortisei – Nella nostra scuola lavoravano 128 maestri, oltre a due dipendenti che sono in cassa integrazione. Alcuni di loro hanno partita iva, altri contratti stagionali. Alcuni hanno ricevuto i 2.400 euro e basta. Stiamo aspettando notizie sia dalla Provincia sia dallo Stato per il decreto di sostegno alla montagna. La nostra scuola fatturava intorno ai due milioni di euro, tra lezioni e noleggio. Quest’anno incasso zero, ma le spese fisse ci sono sempre. Aspettiamo il rimborso almeno per quelle. I maestri di sci vedranno la prima paga nel gennaio del prossimo anno, se va tutto bene, ma noi tutti dobbiamo comunque pagare Inps, assicurazioni e via dicendo. Per fortuna - continua Zambon - alcuni clienti non hanno voluto indietro la caparra e l’hanno spostata al prossimo anno”.

La situazione non cambia molto alla Scuola Sci Dolomites, con quattro sedi in Val Badia. “Non vediamo un euro dallo scorso inverno e abbiamo solo spese - ricorda il direttore Elmar Castlunger - In alta stagione abbiamo normalmente 80 maestri, tra cui 34 sono soci della scuola. Molti di loro vivono principalmente di questo lavoro. Spesso hanno famiglia, figli, mutui o affitti da pagare. Alcuni stanno arrivando alla soglia della povertà, perché finora non hanno ricevuto niente o molto poco con cui sopravvivere. Adesso si è mosso anche il Collegio Maestri e speriamo bene. Noi non abbiamo incassato il milione di euro circa che fruttava la stagione invernale, ma le spese fisse di affitto, luce, telefono, assicurazioni dobbiamo pagarle comunque. La nostra scuola esiste da 20 anni, nel corso di questi anni abbiamo creato un fondo di riserva e le banche ci fanno credito. Ma io sono preoccupato, e molto, per i maestri. E sono preoccupato per la prossima stagione. Perché riaprire tutto adesso? Per fare partire la stagione estiva e poi magari richiudere in autunno e far saltare la prossima stagione invernale, che è la sola che noi abbiamo e su cui possiamo contare? In Italia si pensa solo al turismo estivo e molto meno a quello invernale. E questo mi preoccupa”.

Tomas Deiaco è il direttore della Scuola Sci & Snowboard Corvara ed è anche lui piuttosto preoccupato, non solo dai bilanci, ma anche dalle prospettive. “Da noi in alta stagione lavorano circa 80 maestri, una settantina di loro a tempo pieno e molti non hanno un secondo lavoro. In inverno abbiamo quattro segretarie, sei impiegati al noleggio, quattro al bar e tre all’asilo. È saltato l’incasso di una stagione, ma le spese fisse ci sono sempre. Senza contare le spese che abbiamo fatto a inizio stagione, soprattutto per adeguarci alle norme anti Covid, E tutto per niente. La cosa peggiore è stata l’insicurezza: spostare la riapertura di settimana in settimana, mettere tutto in moto e poi non partire. È stato terribile anche per i maestri. Se avessero saputo subito che non avrebbero lavorato, si sarebbero cercati un altro lavoro. Così invece è stato uno stillicidio, una continua attesa. Adesso speriamo che qualcuno si accorga che esistiamo anche noi e che ci aiuti...”













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