Cinque anni fa l’incubo jihadista e l’operazione in via Mainardo 

Terrorismo. Il 13 novembre 2015 la notizia dell’arresto di 17 persone da parte dei Ros di Trento: quattro vivevano a Merano Per due membri della cellula il decreto di espulsione è stato convertito in autorizzazione a restare sul territorio sotto vigilanza



Merano. Il 13 novembre 2015 molti media nazionali e internazionali aprivano riportando la notizia di una clamorosa operazione dei carabinieri dei Ros di Trento che all’alba del giorno prima avevano proceduto a eseguire 17 ordini di arresto nel tentativo di sgominare una presunta cellula terroristica denominata “Rawti Shax”. Di questi, sette erano stati eseguiti nei confronti di presunti jihadisti residenti in Alto Adige, quattro dei quali a Merano. Tra questi si leggeva il nome di Abdul Rahman Nauroz, allora residente in via Castel Gatto 9, tratto in arresto perché considerato uno delle menti a servizio del Mullah Krekar – già associato dal Consiglio superiore delle Nazioni Unite alle azioni terroristiche compiute da Osama Bin Laden – mentre il kosovaro Eldin Hodza venne arrestato sempre all’alba del 12 novembre nella sua abitazione di via Mainardo.

Oggi è il commerciante Fabrizio Marchiò a ricordare quegli eventi che catapultarono Merano e via Mainardo al centro delle cronache nazionali. «Devo dire che all’inizio mi sono accorto di poco, perché l’operazione di polizia avvenne alle prime ore del giorno, ma quelle persone le avevo incontrate spesso – ricorda Marchiò – quando andavano a gettare l’immondizia e tra di noi c’era solo un saluto, anche se devo dire che non è stata una cosa simpatica sapere di averli avuti a due passi dal negozio, dove ancora oggi vive un mondo di persone delle quali sappiamo poco».

Alla fine di un lungo processo, se a due presunti jihadisti “meranesi” fu attribuito un ruolo del tutto marginale in seno all’organizzazione, il presunto reclutatore Nauroz fu condannato a sei anni di reclusione con sentenza passata in giudicato nel novembre del 2018, mentre furono quattro gli anni inflitti a Eldin Hodza, unico kosovaro della vasta organizzazione transnazionale, che il primo gennaio del 2014 risultava essersi recato in Siria per aderire alla guerra santa. Quel 13 novembre avrebbe riservato non poche sorprese, in tema di terrorismo. Non solo quel venerdì la città scopriva che da almeno quattro anni in riva al Passirio operava un importante crocevia internazionale per il reclutamento di combattenti jihadisti: di lì a poche ore, nella stessa notte, un attacco terroristico da parte di un commando di kamikaze avrebbe colpito Parigi ben sei volte in 33 minuti.

L’operazione di polizia “Rawti Shax” che portò a una serie di arresti e mandati di cattura internazionali fu coordinata da Valerio Savio, giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, dopo che da alcune segnalazioni dei Ros anticrimine di Trento, un’informativa del 30 giugno 2011 aveva individuato a partire dal 2010 nel covo di via Castel Gatto la centrale operativa per una serie di attività preparatorie ad azioni terroristiche e paramilitari sotto la regia del Mullah Krekar, già leader di Ansar al Islam. Le investigazioni ebbero come perno una serie di complesse intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche transnazionali che per quanto ci riguarda da via Castel Gatto si estendevano fino a via Mainardo, ma anche in un’abitazione di via Winkel e all’Eurotel di via Garibaldi. Il risultato confluì in un’ordinanza monster di oltre 1200 pagine con la richiesta di applicazione della custodia cautelare in carcere per diciassette persone, con la quale si ipotizzavano in modo dettagliato l’esistenza e l’operatività di una cellula terroristica con base a Merano e diramazioni in Norvegia, Germania, Svizzera, Grecia, Bulgaria, Turchia, Iraq e Siria.

Questi fatti portarono a una serie di condanne. Hodza però è stato scarcerato due anni fa e il decreto per la sua espulsione è stato convertito in autorizzazione a restare sul territorio sotto vigilanza (come per Nauroz), ma su consiglio del suo avvocato ora il kosovaro risiede nel paese di origine. Ad ogni modo è stata la parte preliminare dell’ordinanza “meranese” a far discutere gli esperti di terrorismo internazionale. Infatti, se è assodato che la cellula meranese ospitava regolarmente aspiranti jihadisti provenienti da tutta Europa e tentava di reclutare combattenti, per chiedere il fermo dei sospettati si rese necessario «ricostruire il complesso combinato disposto di una serie di interventi normativi di carattere nazionale e internazionale».

Su questo abbiamo sentito l’avvocato Simone Bergamini, legale di Nauroz: «Il mio cliente – spiega – si è sempre professato innocente. Attualmente è detenuto nel carcere di massima sicurezza di Rossano Calabrese nella sezione islamica, assieme a persone condannate per terrorismo internazionale, ma solo per via di una pena ancora da scontare in relazione a una tentata rapina commessa a Bolzano e che lo vedrà uscire di prigione già all’inizio del 2021». Bergamini commenta il risultato dei processi che hanno coinvolto i 17 indagati, molti dei quali assolti: «Quello che manca per combattere il terrorismo è il coordinamento internazionale tra le procure e le forze di polizia. Devo dire che, come nel caso del mio assistito, l’accusa di aver commesso atti preparatori per un ipotetico atto di terrorismo internazionale ha portato a una pena in un certo modo severa, ma allo stesso tempo rilevo che nel nostro ordinamento manca ancora una disciplina capace di procedere in modo omogeneo verso reati associativi transnazionali di tipo terroristico».J.M.













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