I Cappuccini a Merano, confessori e predicatori 

A partire dall’800 si sono occupati sistematicamente dei fedeli di lingua italiana La chiesa di riferimento è quella di Santo Spirito, annessa all’ospedale


di Massimiliano Bona


MERANO. Convento, chiesa e comunità dei Padri Cappuccini a Merano, fin dai tempi della fondazione, sono un luogo di incontro tra lingue e culture. «Il convento meranese - spiega Paolo Valente, direttore della Caritas diocesana che ha studiato il periodo tra il 1612 e la prima guerra mondiale - è una casa comune per padri provenienti dalle aree linguistiche tedesca, italiana e ladino-romancia». Il primo superiore dei cappuccini a Merano e direttore dei lavori di costruzione del convento è padre Francesco di Conegliano (1623). I progetti di chiesa e convento sono di padre Matteo Lodron di Villa Lagarina. Nel ruolo di guardiano (dal 1621 al 1622) troviamo invece un mantovano: padre Francesco de Nodosis.

La cura d’anime nell’Ottocento. «A partire dall’800 - prosegue Valente - i Padri Cappuccini si occupano sistematicamente dei fedeli di lingua italiana di Merano. La chiesa di riferimento, fin dagli ultimi decenni del secolo, è quella di Santo Spirito, annessa all’ospedale». Ma chi sono i sacerdoti che si prendono cura dei meranesi di lingua italiana? Il primo di cui si abbia traccia è proprio un padre cappuccino. Tra gli atti del passaggio della parrocchia di Merano alla diocesi di Trento si trova un elenco dei religiosi del convento: tra questi un frate di 58 anni, nato a Cares nelle Giudicarie. Si chiama Giancarlo Bombarda (1761-1846) ed è contrassegnato dal titolo di “confessore degli italiani” . È il 1819.

Valente, nella sua ricerca, ha trovato anche il primo «predicatore degli italiani», padre Guido Ruatti. «Lettore di matematica, fisica e storia nello Studio generalizio di Bologna, ritorna nel Tirolo per malattia e si dà alla predicazione. Ricorda la cronaca della provincia: “Sostenne vittoriose controversie con celebri professori laicisti del suo tempo”. Muore a Rovereto nel 1907.

Il frate e il podestà. Da uno scritto di padre Decristoforo del 1888 sappiamo che in certi casi anche la chiesa dei Cappuccini venne usata per le funzioni in lingua italiana. Il documento, conservato presso l’Archivio diocesano di Bressanone, è interessante perché mette in luce quanto i nascenti nazionalismi prendano via via piede nel Tirolo, anche a Merano, dove i Padri Cappuccini, forti della loro storia, si fanno difensori ante litteram dei diritti delle minoranze.

Padre Leopoldo Decristoforo, nella lettera indirizzata al vescovo Valussi, lamenta che la comunità di lingua italiana si sia vista negare dal podestà (di orientamento liberal-nazionale) l’uso della chiesa dell’ospedale. «Se nella chiesa dell’ospedale potevano gl’Italiani avere la dottrina avanti per alcuni anni, perché non adesso?», si chiede il predicatore.

Fine secolo. Nel 1897 l’incarico di predicatore per gli italiani passa a padre Isidor Flür (per tutti “padre Isidoro”). Celebra la messa per gli italiani nella chiesa di Santo Spirito e si dà da fare per organizzare la comunità anche sul piano associativo. Il suo immediato successore come assistente della comunità italiana, dal 1907, è padre Caio (Cajus) Perathoner (nasce ad Ortisei nel 1868, muore a Merano nel 1922). Padre Caio resta predicatore per gli italiani fino al 1914 quando, scoppiata la guerra, parte per il fronte nel suo ruolo di cappellano militare.

Società operaia. È grazie al supporto dei Padri Cappuccini che nel 1898 sorge a Merano la Società Operaia Cattolica con lo scopo di raccogliere i lavoratori che abitano nel Burgraviato. Padre Isidor Flür è presente alla fondazione e ne è il primo assistente, nominato dal vescovo di Trento. Gli succederà padre Caio.

Dopo la prima guerra. «Dopo la Prima guerra mondiale - conclude Valente - i Padri Cappuccini apriranno ancora le porte di chiesa e convento ai fedeli di entrambe le lingue. Lo fanno fino ai giorni nostri nello stesso spirito di accoglienza che, anche in tempi difficili, ha saputo far breccia nei confini che a volte separano, a volte mettono in comunicazione lingue, gruppi, culture e soprattutto le persone, con le loro mille storie».

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