L'INTERVISTA benno mandolesi la mostra-provocazione 

Il dentista agli architetti «Ci vuole più armonia» 

Al Centro per la cultura. Innalzamenti, estensioni, aggiunte e integrazioni agli edifici storici Com’è e come sarebbe potuto essere: la prospettiva di un non addetto ai lavori in 20 confronti


simone facchini


merano. «Non sono un architetto, neppure un addetto ai lavori. Faccio il dentista. Mi capita spesso di fare modifiche nella bocca delle persone, e mi piace quando queste non si notano. È così che ritengo di compiere un buon lavoro» . Benno Mandolesi ha immaginato di trasferire il suo credo all’architettura, sua passione, applicandola al contesto meranese, città dove è nato 56 anni fa. Ne è nata, in collaborazione con Mairania 857, una mostra dal titolo bizantino - si chiama “(H)Armonie(n)?” - ma di immediata comprensione al momento della visita. Rimane aperta fino a sabato al Centro per la cultura. Fotografie di edifici storici o comunque significativi vengono giustapposte alle stesse immagini ritoccate con dei collage («il computer non è il mio forte»). Vengono ritratte le strutture così come sono dopo integrazioni di vario genere - innalzamenti, estensioni, aggiunte - e l’aternativa concepita da Mandolesi. Molte sono riconoscibili facilmente, dalla scuola di musica al centro Kimm e all’ex hotel Emma. A corredo, parallelismi fra gli interventi sull’essere umano e quelli agli edifici, «che a differenza delle persone non possono parlare».

Lei, dentista, che decide di esprimersi in un contesto lontano dalla sua professione. Da dove nasce il desiderio di esporsi così?

Era qualcosa, come meranese e come amante dell’architettura, che covavo da tempo passeggiando per la mia città e osservando questi inserti che a volte stravolgono lo spirito di una costruzione. Dovevo trovare il modo per esprimere questo mio punto di vista.

Che può essere condiviso da molti suoi concittadini, visti i precedenti. Ma anche letto come un’invasione di campo. Qual è il messaggio che la sua mostra manda a chi ha deciso di disegnare così questi inserti architettonici?

Che si poteva essere più rispettosi delle forme, degli stili, dello spirito originario. Che si poteva dare più armonia all’intervento che modifica l’esistente.

Ma dietro a certe scelte ci possono essere ragioni di natura ingegneristica, o economica, o esigenze volte a superare barriere architettoniche.

È vero, lo comprendo. Ma le interpretazioni degli adeguamenti potevano impattare in modo diverso sul risultato. Non ho le competenze per entrare nei dettagli tecnici, ma ritengo che chi è incaricato di fare un’aggiunta a un edificio, in particolare se si tratta di un edificio di pregio, deve avere l’umiltà di mettere da parte la sua ambizione e rispettare lo spirito del collega che anni prima ha disegnato quelle linee. Mi chiedo come reagirebbero loro, se qualcuno stravolgesse il senso di un loro lavoro.

Ambiziosa è la sua mostra.

Ma no, vuole essere una provocazione, quasi un gioco, uno stimolo per una riflessione.

Come nell’ultimo pannello, dove ipotizza una torre vetrata per un ristorante stellato sulla cupola del Kurhaus?

Metto in risalto quelle che ritengo incongruenze estetiche. Non escludo a priori che qualcosa possa o debba essere modificato. Ma c’è modo e modo.















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